Artifizzi III

Artifizzi III

sottotitolo
Stravizzi
copertina
anno
2008
Collana
Categoria
pagine
88
isbn
978-88-6266-041-9
nota
Prefazione di Roberto Mercuri
Dopo Artifici, di liriche, Artifizzi e Artifizzi II, di stravizzi, qui i versi continuano, con ironia e fine gioco intellettuale, a coinvolgere il lettore.
Stravizzo era detto l’annuale convito dell’Accademia della Crusca. Qui passa per “cicalata” (la più famosa, il Bacco in Toscana del Redi ). In Artifizzi intende satira, spesso non giocosa, e il parlar arguto. Lo sperimentalismo ne è la cifra più rilevante, entro e sul linguaggio della tradizione letteraria, con rimandi colti e reinvenzioni di temi di strutture e di linguaggio.
 
Francesco Garramone è nato a Banzi (Potenza), dove vive. Insegna Lettere nei licei.


PRIMI VERSI

Sonetto della fama

                                        Fama volat. Maccaronee

Io son sì pien di me che ne trabocco:
E pur cammino e pur non tocco terra,
Mi danno d’importanza e ognun m’afferra,
Io son Poeta ormai, non un allocco:

Mi sto come una pasqua e mi sbalocco:
Ognun mi riverisce infino a terra,
E volo in alto, e non mi fan più guerra,
Che prima ognun dicea, ecco lo sciocco:

Io son Poeta ormai, e non un brocco:
Ognun m’ascolta e inchina e mi fa segno:
Mi sembr’una campana col rintocco:

Son visto qua e là com’un berlocco:
Mi dan credito e fanmi fededegno,
Sto come un dio, un cero, un albicocco,

E quasi non mi tocco:
– La fama che m’è data onor mi tegno:
E i denari, pochi, tengo a pegno.


Ultime dalla fortuna

Or dunque e perocché io gioco spesso,
E scherzo con Fortuna, anzi la sfido,
E dei suoi mille tiri me la rido,
E a Iddio per la rabbia mi confesso:

Di questa nuova frasca adesso adesso,
Che io con lei mi stia e le sorrido,
Delle sue spine, me ne faccio nido,
Come l’Aguglia su picco inaccesso:

Amo il tristo cruccio e mi sto con esso,
Distante dal suo fango e dal suo scherno:
Ma suoi Arcani miro genuflesso:

Già domammo cani e cristiani, e adesso
Idioti: – E se s’affollino i suoi crocchi,
Cura n’ho quanta Iddio all’Inferno istesso:

Da Lei mai non m’acquatto se m’adocchi:
Ma pur miro di tra il suo Fango etterno,
L’Idea che mi brilla avanti agli occhi:

Ché io, se pur mi stizzo con me stesso,
Tra le sue cose pràtico e discerno,
Se la rivolto e imbroglio bene spesso:

Se trovo buona creta, faccio terno:
Son Zeusi Apelle e Fidia, e a far gli sciocchi
Son io anche miglior del Padreterno.