Mi chiedevo

Mi chiedevo

copertina
anno
2009
Collana
Categoria
pagine
120
isbn
978-88-6266-170-6
9,50 €
Titolo
Mi chiedevo
Prezzo
10,00 €
ISBN
978-88-6266-170-6
nota
Prefazione di Ernesto Livorni
C’è una vena di incertezza con cui sembra giocare tutta la scrittura di questi racconti: si tratta della labilità tra la ragione e la ragionevolezza delle cose, da una parte, e la loro perdita o la loro assoluta mancanza, dall’altra.
   Ernesto Livorni
 
Barbara Alfano è nata a Napoli dove si è laureata. Dal 1999 vive negli Stati Uniti dove insegna lingua, letteratura e cultura italiane al Bennington College, nel Vermont. Scrive di letteratura contemporanea.

INCIPIT

La cresima
 

61, La signora in chiesa. 26, Il camorrista. 39, La luce. Gli ironici di Bruscignano chiamarono quello “il giorno della luce” e a parecchi il terno secco illuminò i volti.
«L’avevo detto, io, che avrebbe fatto un caldo infernale oggi!», si ripeté Giulia De Rosa portando con soddisfazione su per la scalinata della chiesa il suo tailleur leggero di lino bianco, avvitato attorno al corpo snello, leggermente abbronzato. Reagendo al calore, scostò dal collo la chioma nera. Diventava statuaria quando sollevava il mento e guardava il mondo col sopracciglio alzato.
Era domenica di cresime a Bruscignano, una domenica di fine maggio arroventatasi a mezzogiorno a beffare i cerimoniosi di primavera. Giulia però era una donna che non si lasciava sorprendere, soprattutto dal tempo. Aveva quarantacinque anni e ne dimostrava dieci di meno, risultato della lungimiranza con la quale si prendeva cura di sé, la stessa che usava nella cura della famiglia. Lei la chiamava intuito. Quel giorno si cresimava il figlio Roberto, diciottenne, a cui la madre aveva consigliato di concludere con i sacramenti necessari prima di andare a studiare in Inghilterra, paese protestante… e poi chissà se ne avrebbe mai più avuto il tempo… o doveva finire come tanti che si cresimano prima di sposarsi per pura formalità? Quando la madre alzava il mento, il figlio abbassava il capo. Roberto disse solo «Va bene, mamma» e si lasciò guidare dall’intuito di famiglia. Così Giulia lo iscrisse al corso di catechismo ancor prima che il ragazzo si decidesse davvero a fare domanda all’università dove avrebbe studiato economia e finanza.
C’era già gente all’entrata della chiesa. Salendo le scale, Giulia notava che delle sue coetanee, e le conosceva tutte, nessuna aveva azzeccato l’abito adatto alla temperatura. “Eccole qua, le signore confuse dalle mezze stagioni… con l’età che si ritrovano…” inacidì, dispensando, à propos, un mezzo sorriso a destra e l’altra metà a sinistra ai volti pallidi di calore, sospesi sugli abiti eleganti, colori setati raggruppati qua e là sul sagrato imbiancato dal sole.
Né calde né fredde, incerte come i vestiti che indossavano, a Giulia sembrava che quelle donne avessero trascorso la vita fuori stagione.  
Dal portone della chiesa, l’avvocato Ippolito De Rosa venne incontro alla moglie con un sorriso, uomo aitante e solare, e la motteggiò sollevando il mento a specchio, uomo divertito; poi la prese sottobraccio e le disse in un orecchio: «perché hai questa punta di veleno negli occhi, tesoro? Vieni vieni, andiamo a sedere» e morbido, con una carezza, la condusse in chiesa senza aspettare risposta.
Davanti a loro sedeva Roberto, dinoccolato, con la testa bruna fra le nuvole, e osservava l’affresco sul soffitto – Andrea e Simon Pietro lasciavano le reti e seguivano Gesú. «Venite. Vi farò pescatori di uomini», disse a voce bassa.  Si chiedeva se lui, al posto di Pietro, avrebbe seguito Cristo, così, su due piedi. Sì… immagina la mamma! E giocoso si voltò verso la madre. “Troppo leggero, come suo padre…” pensò di nuovo Giulia, ricambiandone il sorriso, “guarda chi s’è scelto come padrino…”. Il padrino era una madrina, zia Lorenza, la sorella minore di Ippolito, per Giulia una donna strana perché diceva di aver dovuto leggere lo Yogasutra e la filosofia Zen per capire Cristo e lo Spirito Santo, dal momento che i preti proprio non ci riuscivano a spiegarli, per niente. A trentadue anni se ne era andata a studiare in Australia e ora tornava, dopo otto anni, incinta. Sapere del padre del bambino non se ne parlava neanche… Roberto andava a trovarla ogni estate, per imparare bene l’inglese. Aveva un debole per questa zia esuberante, piena di vita. La chiamava “la zia corta”, perché era bassa per gli standard di famiglia, e le diceva che tutto quello che aveva perso in altezza, l’aveva guadagnato in bellezza.
Accanto a Roberto sedeva un giovane molto elegante, da copertina, notò Giulia, con quella pettinatura gonfia e sfilzata, all’ultima moda. Il sorriso, poi, le si gelò sulle labbra quando il marito le disse che si trattava di Ciro Fasano, il figlio del boss del paese. «Chi?!», sibilò lei. Ippolito non rispose perché suonò la campanella. La messa iniziava. Sfilò la processione dei chierichetti in testa al drappello, seguiti dal vicario del Vescovo, Don Michele, Don Raffaele e il diacono. A chiudere, altri quattro chierichetti.
Giulia continuava ad osservare Ciro Fasano. Guardava lui e suo figlio e si chiedeva come si facesse a distinguere il buono dal cattivo così, a prima vista. Meno male che lei non aveva figlie femmine, si disse, mentre ripensava alla storia della fidanzata di Ciro, Katia, anche lei lì a cresimarsi, troppo magra, con un visino triste e le dita intrecciate con forza – forse i due erano prossimi alle nozze?
Katia non era riuscita a finire il liceo perché si era invaghita di Ciro ed era andata a vivere con lui, contro il volere della famiglia. Si era pentita poi ai primi schiaffi del fidanzato e quando suo fratello aveva tentato di riportarla a casa, Cirò lo aveva picchiato a sangue e aveva minacciato di morte l’intera famiglia. Katia era prigioniera dell’uomo e adesso lo sposava… Giulia rabbrividiva nel vedere quel ragazzo e suo figlio così vicini.