Antonio Debenedetti, Un piccolo grande Novecento

18-11-2005

Uno "straano" Novecento, di Nicola Vacca


Antonio Debenedetti è una memoria storica del nostro mondo  letterario. Figlio del critico Giacomo, ha avuto il privilegio di conoscere i più importanti tra poeti e scrittori del Novecento. Seguendo professionalmente le orme paterne, Debenedetti si è occupato di libri per tutta la sua vita. Oggi è ancora una delle firme più autorevoli della Terza pagina del «Corriere». Al meraviglioso mondo della società letteraria del secondo Novecento, Antonio ha deciso di dedicare un libro di ricordi e impressioni. In Un piccolo grande Novecento l’autore conversa con il giovane scrittore Paolo Di Paolo, aprendo l’archivio della memoria di casa Debenedetti. In presa diretta con una poetica nostalgia, egli si racconta attraverso i più grandi scrittori del secolo scorso, che ha avuto la fortuna di incontrare e di conoscerne in maniera approfondita vizi e virtù. Siamo di fronte a un bilancio esistenziale, che mette a confronto le esperienze letterarie di grandi scrittori e poeti che con le loro idee e le loro opere hanno impreziosito un secolo ricco di grandi contraddizioni. Ci sono proprio tutti: Dario Bellezza, Giorgio Caproni, Giuseppe Ungaretti, Mario Soldati, Alberto Moravia, Sandro Penna, Vincenzo Cardarelli, e molti altri ancora.
Debenedetti ha avuto il grande privilegio di poterli più volte incontrare, trascorrere molto tempo a parlare con loro di libri, letterature e molto altro. Sempre attingendo a meravigliosi brandelli di memoria autobiografica, Debenedetti racconta il suo primo incontro con Giuseppe Ungaretti. Il giovane Antonio si recò a casa del grande maestro con una copia fresca di stampa del suo primo libro di poesie. Ungaretti abitava a Piazza Remuria e stava preparandosi a  un trasloco. Il poeta era in maniche di camicia, portava pile di libri da una stanza all’altra. Prese in mano il libro di Debenedetti e disse: «Sono straane, straane», con la “a” allungata all’inverosimile. Lo riempì di una felicità incredibile. «A diciotto anni si è orgogliosi –scrive Debenedetti– e felici di venir considerati strani».
L’autore, nel gioco delle domande e delle risposte di questa lunga conversazione, ha messo sul tavolo della memoria i sentimenti di una vita passata a leggere libri, ma anche ad amare la lezione dei grandi maestri di scrittura e del pensiero, che hanno avuto la fortuna di attraversare la sua vita. In tutte le pagine di questo libro si trovano i segni di quella grande civiltà letteraria che è stata la storia novecentesca italiana, raccontata da uno dei suoi protagonisti più veri.