Antonio Errico, Viaggio a Finibusterrae

07-12-2007

Il mirabile Salento di Errico, di Daniela Pastore

«Non bisogna esserci nato in questi luoghi. Non bisogna conoscere strade e direzioni». Ipnotico, intenso, lieve. L’ultimo libro di Antonio Errico, Viaggio a Finibusterrae, è un’esplorazione del Salento sulle ali di una farfalla o su una “navicella” che attraversa il tempo.
Un percorso fra luoghi reali ed interiori, nella coscienza arcana della «terra del rimorso», nelle malinconie e delicatezze di un Sud del Sud denso di meraviglie. Scorrono le pagine, e con esse la geografia, l’archeologia, la lirica dei siti. Otranto è «memoria e smemoranza», una bolla sospesa, un’astrazione. «Utràntu forse non esiste».
A Castro la luminosità è strabiliante. Una tempesta di luce quando albeggia, un brulicare di lampare nelle notti senza vento. La malinconia abita a Santa Cesarea, dove Shearazade raccontava favole, un tempo, filando la conocchia, e dove «è triste vivere senza un amore». Ipnotico, come sussurrato all’orecchio, il racconto procede in un susseguirsi di luoghi fantastici e memorie concrete, di sinestesie, di suggestioni. Appare Lecce, il barocco, lo sfolgorio di facciate e balconi, Santa Croce, Piazza Duomo che è «rappresentazione della levità – annota lo scrittore – luogo dove la pietra perde peso, si alza verso il cielo quasi svaporasse».
Lecce è la città sognata, «umile e vanagloriosa, sontuosa e meschina, bugiarda e sincera, bigotta e blasfema». Chi può negarlo? Città che dai poeti non è riuscita a farsi amare. «Che di lei dicono: Lecce la morta: morta da sempre, nata morta, “defunta come un giglio”».
Mescola geografia, ricordi e sogni Errico. E porta il lettore verso Leuca, sull’onda di una malìa di parole: il santuario, il faro, il ponte del Ciolo. Dovrebbe essere la fine del viaggio. Ma dov’è Finibusterrae? Dov’è il confine? Non c’è. «Allora Finibusterrae può essere un luogo generato dal pensiero, la fantasticheria di una controra», suggerisce lo scrittore. Oppure «qualsiasi luogo che non rappresenta la fine di un viaggio, ma la sua continuazione». Dunque, si riparte. E risalendo il “tacco” ecco «una dopo l’altra, una accanto all’altra», le chiese di Gallipoli, facciate povere, dimesse, interni che galleggiano nella penombra, tra bisbigli di rosari e odore di cera e di tele. Poi i fari, le piazze.
Nel Salento di Errico vivono ancora Vittorio Bodini, Tommaso Fiore, Luigi Corvaglia, Vittorio Pagano, Antonio Verri, Nicola De Donno, Salvatore Toma, Rina Durante. Passeggiano trasognati, persi nei loro pensieri, fra corti assolate, vicoli ombrosi. Perché forse «Finibusterrae altro non è che letteratura».
Scrive spesso di notte, Antonio Errico, e della notte la sua scrittura assorbe silenzi nostalgici e profondità mirabili. Come nelle fiabe orientali, il Salento di Viaggio a Finibusterrae non ha strade. Si cammina davanti a sé, verso il «confine». Ma la linea è retta all’apparenza. Alla fine quella linea si rivelerà un labirinto, un cerchio perfetto, una spirale, una stella, o – come Cristina Campo – un punto immobile, dal quale l’anima non partì mai.