Beppe Lopez, La Bestia!

21-03-2015

Una favola fantasy con morale, di Anna Bigano

"Mecvuattauccavau cuddistaind! Iaimvogghjefaie mbasclfattmai evau faciaitvmbesc lfettvaust". Per chi non viene da Bari o dintorni, la lingua del nuovo romanzo del giornalista Beppe Lopez suona a tratti ostica, respingente, con il suo impasto peculiarissimo di lessico tre e quattrocentesco e di battute dialettali fatte d'impronunciabili accumuli di consonanti. Serve qualche pagina per acclimatarsi nella lettura de 'La Bestia!', terza prova narrativa dell'autore dopo 'Capatosta' (Mondadori 2000) e 'La scordanza' (Marsilio 2008), ambientata in un tempo lontano e in una città che si chiama semplicemente Città. Una città il cui destino cambia per sempre quando alle sue porte si presenta "un òmmeno vestuto selvaticamente", con intenzioni tutt'altro che chiare. Ne 'La Bestia!' Lopez mantiene e anzi esaspera l'alternanza continua di registri linguistici e la mescolanza di italiano e dialetto per cui è stato più volte accostato a Camilleri.
Abbandona invece l'affresco storico e sociale dei suoi lavori precedenti per dedicarsi a quella che un ironico sottotitolo definisce 'favola edificante (per adulti) sulla "costruzione del nemico"', per quanto gli antropologi che studiano i racconti popolari direbbero che contiene pure molti elementi della fiaba.
Non ci sono creature fantastiche, giganti o folletti; in compenso c'è un giovane cresciuto solitario e selvaggio in una foresta, forse appartenente alla misteriosa, temibile tribù dei ferùsculi - così li hanno battezzati gli abitanti della Città - o forse no. E soprattutto, come in ogni fiaba, ci sono fughe e pericoli, delazioni e riconoscimenti, saghe familiari che s'intrecciano, governanti illuminati e fanciulle in pericolo. Dietro al velo allegorico del fantasy si legge tuttavia una storia modernissima, che parla di accoglienza dell'altro, di una tolleranza non utopica ma praticabile verso lo straniero. Nei piani del dispotico potere centrale che ha assoggettato la Città un tempo giusta e pacifica, la demonizzazione del diverso (che sia un caso che nel Medioevo la Bestia per antonomasia fosse Satana?) va di pari passo con la distruzione della memoria storica dei popoli, il soffocamento delle loro tradizioni, l'imposizione di una lingua che cancella gli antichi idiomi locali. Nessun riferimento esplicito al mondo contemporaneo, pochi al passato recente (uno su tutti il motto imposto dai conquistatori, "credere, obbedire, combattere"), eppure la sensazione è quella di riconoscere certi meccanismi del potere, nel romanzo magari esasperati, ma nemmeno troppo. E così dalle pagine de 'La Bestia' traspare l'attenzione di Lopez per la buona politica, un impegno civile che per certi versi è già nei suoi saggi, come 'La casta dei giornali' (Stampa Alternativa 2007) o 'Indecenti! Dizionario degli orrori della vita pubblica in Italia' (edito sempre da Stampa Alternativa nel 2013). Il finale è aperto, ma dalla lettura si esce davvero un po' edificati e con la voglia di non cedere al disfattismo. Lo spirito è quello di una massima messa in bocca a un ignoto saggio, ma in realtà - lo ricordano le note finali - di sant'Agostino: "La speranza ha due bellissimi figli: lo sdegno e il coraggio. Il primo di fronte a come vanno le cose, il secondo per cambiarle".