Chiara Bottici, Per tre miti, forse quattro

10-06-2016

Bottici, un avvincente polistilismo, di Renato Barilli

Chiara Bottici può essere considerata la buona fata ispiratrice di RicercaBO, ovvero della fase seconda, di stanza a Bologna, del grande ciclo a suo tempo svolto a Reggio Emilia, con annesso logo, RicercaRE. Non per nulla questa scrittrice è comparsa due volte, all’officina di rito petroniano, nel 2012 e l’anno scorso, e proprio alcuni dei testi allora inediti da lei letti in quella più recente occasione sono entrati nel volumetto ora edito da Manni, “Per tre miti, forse quattro”, con un sottotitolo altrettanto eloquente, “Romanzo di romanzi”. Lo avrei gratificato di un convinto “pollice recto” sull’”Immaginazione”,se non fosse che la attenta regia di quella rivista, edita anch’essa da Manni, esclude che si dica bene, o male, dei propri prodotti. Quest’opera mi consente di condurre una riflessione sui destini molto diversi dei due cicli sopra ricordati. Quello reggiano ha marciato col vento in poppa, abbiamo “infilato” una straordinaria stagione di nuovi narratori che hanno affrontato, alla fiamma, alla baionetta, la situazione allora in atto, cogliendone tutti i sintomi di “ordinaria follia”, di crudeltà e orrori avvistati pur nella conduzione di piatti resoconti sul quotidiano. Ma i loro successori, di una generazione dopo, non potevano ricalcare le stesse orme, e dunque sono andati alla ricerca di nuove piste, esponendosi ai quattro venti. Non sono certo mancati i buoni esiti, elenco tra gli altri i casi di Giorgio Vasta, Giovanni Greco, Stefano Gallerani, Andrea Bajani, Simone Giorgi, Paolo Marino, Francesco Maino. Lorenzo Canella, ma anche un accanito fenomenologo degli stili come il sottoscritto stenta a trovare una traccia comune, un filo conduttore, tra questi vari testi. Esso invece compare nell’ambito, sempre sicuro e fortunato, nel nostro Paese, della produzione in poesia, dove un ricercatore ad ampio spettro come Marco Giovenale ha introdotto davvero uno stile con una decisa patente di novità, quel curioso ricorso a prose che però volutamente si perdono per strada, si troncano nel bel mezzo della vicenda, con perfida sfida al lettore. Per la narrativa, bisogna invocare proprio la molteplicità, il polistilismo che emergono nei due titoli proposti dalla Bottici. Si sono davvero cavalcati i miti, quasi ricorrendo alla categoria del citazionismo, tanto sfruttata nelle arti visive, ma assai poco in narrativa, o quanto meno non vi ricorrevano senza dubbio gli Ammaniti e Covacich e Trevisan eccetera della ondata fine secolo. La Nostra prende invece come guide ai suoi percorsi accidentati tre figure appunto del mito, la Sherazade delle “Mille e una notte”, l’Arianna del filo che conduce-disperde nel labirinto, e l’Europa, cavalcata e travolta da Giove, così come le vicende al femminile che dominano questi racconti rischiano ad ogni un passo di essere schiacciate dalla protervia aggressiva dei maschi. Ma beninteso, scelte queste introduttrici dal mito, non è che Chiara voglia consegnarsi loro mani e piedi, anzi, indossa quelle maschere con totale agilità e disponibilità, portandole a interagire con l’oggi più drammatico. In fondo, è un modo per introdurre delle raccolte di novelle, che a loro volta viaggiano sempre sospese tra un decorso normale e invece l’apparizione di soluzioni arcane, travolgenti, da humor nero o invece da improvvise e impensate sorprese. Se insomma la situazione precedente vedeva i narratori impegnati su un fronte di realismo, magari da connotare con due “neo”, qui il realismo deve essere subito accreditato di prefissi o suffissi, occorre parlare di surrealismo o di realismo magico. Nessuno dei racconti ha un decorso normale o prevedibile, la sorpresa è invariabilmente in agguato. In un racconto, “L’attesa”, potremmo pensare di assistere a una cronaca molto fedele, e molto femminile, di una puerpera che appunto attende trepidante il parto, in allarmante ritardo, ma quando infine la creatura emerge, ecco il lazzo, il frizzo, si tratta di un frutto cartaceo, come dire che ora la letteratura, invece che fare presa sul reale, si sigilla a circuito chiuso in se stessa. Lo statuto della impossibilità colpisce ognuna di queste novelle, spingendole verso esiti che ci conducono, allibiti, o compiaciuti, o divertiti, a delle metamorfosi. Forse in questo senso il caso più tipico è dato dallo “Struzzo”, il racconto che la Bottici è venuta a leggere, con ampio successo, al RicercaBO dell’anno scorso. E’ la storia di una brava studentessa, come in definitiva potrebbe essere la stessa autrice, che si dedica a una ricerca scientifica, scegliendo l’animale in oggetto, ma poi, passo passo, deve constatare il compiersi sul suo stesso corpo della metamorfosi di sapore ovidiano, si muta proprio in quell’animale. Siamo insomma in presenza di una scrittura che va alla ricerca di corpi in cui approdare, come se si trattasse di parassiti alla ricerca di nuove dimore disponibili, cancellando in questa ricerca ogni possibile distinzione tra la nostra condizione umana e i vari stati animali e vegetali.