Cosimo Argentina, Maschio adulto solitario

25-05-2008

Taranto, un manga che ha fatto splash, di Giacomo Annibaldis

Taranto, odio e amore. Mai forse la città dei due mari è stata così protagonista in letteratura, quanto nell’ultimo romanzo di Cosimo Argentina, Maschio adulto solitario. «Mi voltai verso la città – scrive lo scrittore tarantino, ormai brianzolo – e in prospettiva vidi quest’ammasso di cemento e acqua e immondizia e mi venne voglia di scomparire, ma in quello stesso istante mi resi conto che era proprio là che volevo vivere». Si sente a casa Argentina in questa città su cui incombe il cielo siderurgico con i «fumi rossi di morte soprannaturale che l’inferno cacciava dalle bocche»; che «puzza di morte fresca», in cui si è riusciti a trasformare il borgo antico, «il posto più bello della città in un covo di pregiudicati e in un letamaio a cielo aperto».
E si potrebbe continuare con le citazioni, caustiche, poetiche, rabbiose (del tipo notturno, magari: «davanti a me Taranto pareva una manciata di diamanti lanciati su del velluto nero. Questo da lontano. Da vicino le sue strade si andavano trasformando in fogne a cielo aperto»)… Ma sarebbe tutta ridondanza per dire un solo concetto: Taranto è la «città dolente», è l’«eterno dolore», una cupa bolgia dantesca, dove degrado morale, cattiva amministrazione, criminalità hanno condotto alla situazione odierna (difatti la storia è ambientata nei primi anni 90 e i ragazzi giocano ancora con le 100 lire).
Con Taranto il protagonista, Dànilo Colombia, ha in realtà un rapporto irrisolto, parallelo a quello con la madre, vedova che si è concessa a un lurido amministratore condominiale, il Vorca. E con il potere Dànilo ha un rapporto ribelle e di rifiuto: sia esso impersonato dal capitano Corva, nella caserma barese in cui il ragazzo compie la sua naja; sia esso Corve, il capoarea dell’industria del tonno, quando va al Nord per lavoro; sia esso Corvo, l’avvocato tarantino presso il cui studio compie il tirocinio dopo la laurea in Giurisprudenza… (tutti, come è evidente dai nomi, varianti di una medesima figura).
Lui, Dànilo, è invece Kuma, un lupo «maschio adulto solitario» che non ama il branco, non sopporta l’autorità, non s’inquadra: una bestia che se ne va al piccolo trotto sul bordo dei crepacci. Lui non ha amici, se non una ragazzina barese che lo ama, ma si suicida; Anselmo, il centralinista cieco e albino, che lo aiuta persino a laurearsi; una tigre chiusa in un cortile condominiale.
Cosimo Argentina sembra – verosimilmente – raccogliere in Maschio adulto solitario la summa di tutta la sua attività letteraria, non scevra di una forte carica autobiografica (altrimenti non si capirebbe perché il protagonista si chiama Colombia, nazione sudamericana, che vuol sostituire in maniera più narcotizzata l’Argentina del cognome; e non si capirebbe perché tra i personaggi della mala ci sono i due protagonisti dei precedenti romanzi, il Leonida Ciocri del Cadetto e il Dagoberto Roio, ex giornalista di Bar Blue Seves).
Diviso in cinque atti, come in un antico dramma, il romanzo racconta il passaggio alla maturità di un giovane, dalla leva militare svolta a Bari, al lavoro in fabbrica nel Nord, al tirocinio a Taranto, nello studio d’avvocato alla attività privata che lo mette alla mercé della malavita, come uno zombi «morso da creatura inumana e ora a sua volta un non morto». Fino al fallimento.
Sesso, abiezione morale, crudeltà e masturbazione, condiscono questo passaggio agli inferi, che sembra trovare un suo «ritornar a riveder le stelle», con la definitiva liberazione dalla vaneggiata «realtà parallela», che si era costruita nella solitudine, fatta di amorosi incontri – e sublimate pugnette – con il fantasma della suicida Sara.
Lo sguardo alla realtà è truce. Fosco. Affilato nel denunciare il male dei mondi, in cui Dànilo scivola, lasciandosi inglobare. mentre il linguaggio è marezzato di tarantinità. Per atmosfere, per vernacolo e per reiterati vezzi linguistici, come quello di proporre i casi della possibilità e dell’impossibilità con il nesso «fa’che» per dire «come se…».
Ciò che distanzia il Maschio dalle precedenti prove è l’ipertrofia, l’eccesso, il trash: il guascone di una volta si fa torrido, fino all’orrido. Scene cruente di violenza da caserma, di sopraffazione privata e ingiustificata, di scopate animalesche, tristi e dannate con le varie donne incrociate (dall’anziana e masochista Maria, alla cliente ballerina, alla collega di studio Armida, alla moglie del generale). Fino all’esplosione: con schizzi di sangue e di materia biologica, omicidi e urla, scoppi di saracinesche, vetri in frantumi, topi e letame. Una Taranto che, se non è avvolta da un sudario metallurgico, è insolitamente battuta da piogge violente.
Uno splash da fumetto manga.