CPT

08-05-2005

Centri di permanenza indecente, di Daniele Scaglione


A metà marzo la struttura di Lampedusa progettata per dar ricovero al più a centonovanta profughi ha dovuto accogliere oltre mille persone. Ina situazione di cui ancora una volta i media hanno dato conto con abbondanza di foto, filmati e resoconti. Sospeso quello che il ministro degli interni ha definito «l’ennesimo assalto alle coste italiane», le vicende degli immigrati, soprattutto quelle di coloro che finiscono nei Centri di permanenza temporanea (Cpt), son tornate nell’ombra. Secondo la normativa i Cpt sono strutture «estranee al circuito penitenziario», ma in realtà differiscono dalle carceri solo per due aspetti: vi sono recluse persone che non hanno commesso alcun reato e sono più difficili da ispezionare. Nel gennaio del 2000, per entrare nel centro milanese di via Corelli, il giornalista Fabrizio Gatti si finse rumeno e senza documenti. Una volta fuori raccontò su “Il Corriere della Sera” di essere stato rinchiuso in un container riciclato dal terremoto dell’Irpinia del 1980, di aver subito una perquisizione anale e di essere stato convinto a ceffoni a firmare un atto di rinuncia a ogni difesa legale. Due mesi dopo il centro di via Corelli è stato ristrutturato, quattro anni dopo Gatti ha ricevuto una condanna a venti giorni di detenzione per “falsa dichiarazione di identità”. La scarsa trasparenza nella gestione dei Cpt italiani –affidata quasi esclusivamente a privati– è stata denunciata nel novembre scorso da Gabriela Rodriguez Pizarro, rapporteur speciale delle Nazioni Unite sui diritti dei migranti. Pizarro ha raccomandato la creazione di un organismo indipendente con la funzione di monitorare il rispetto dei diritti umani nei centri e garantirvi l’accesso di avvocati e organizzazioni non governative.
Le visite che Medici senza frontiere ha potuto compiere tra giugno e novembre 2003 in tutti i sedici luoghi di trattenimento per immigrati sul territorio italiano furono consentite in via eccezionale. Molto prezioso è perciò il rapporto che ne è derivato e che ora è contenuto nei volumi Centri di permanenza  temporanea e assistenza. Anatomia di un fallimento e Stranieri! I centri di permanenza temporanea in Italia. il quadro che ne emerge è sconfortante: “Il sistema di detenzione amministrativa per cittadini stranieri –si legge nelle conclusioni– presenta deficienze estremamente gravi e rilevanti”. I trattenuti spesso non hanno accesso a servizi essenziali e non godono dei loro diritti fondamentali; le modalità di gestione sono talvolta molto carenti. Tre centri appaiono così inadeguati da dover essere immediatamente smantellati: sono quelli di Trapani, Lamezia Terme e Torino, dove gli ospiti vengono rinchiusi in abitazioni fatiscenti e vivono giornate scandite unicamente dal ritmo dei pasti. Altre strutture, come quella di Pian del Lago a Caltanissetta, sono invece di buon livello; in altre ancora –è il caso di Modena– la presenza delle forze dell’ordine è incompatibile con quello che in teoria è un centro di reclusione. Ma anche se il rapporto definisse soddisfacenti le condizioni di vita garantite da ogni Cpt, resta il fatto che si tratta di luoghi dove, in palese violazione dei diritti di libertà, le persone vengono rinchiuse in virtù di un reato che hanno commesso ma unicamente per aver voluto entrare in Italia.
Istituiti dalla legge 40/1998 detta “Turco-Napolitano” e confermati dalla 189/2002 definita “Bossi-Fini”, i Cpt non hanno mai svolto efficacemente la loro funzione di trattenere gli stranieri irregolarmente presenti sul territorio italiano, identificarli e rimpatriarli. Il 60% di coloro che entrano nei centri ha in precedenza scontato una pena detentiva e dunque è già stato identificato. Inoltre, trascorso un tempo massimo stabilito dalla legge in due mesi, gli immigrati devono essere rilasciati: sorte che tocca a moltissime persone che, nella grande maggioranza dei casi, tornano a vivere in clandestinità. Ancora, nei Cpt sono stati detenuti molti richiedenti asilo, in violazione della stessa legge italiana, poiché è solo dal 21 aprile, con l’entrata in vigore del regolamento attuativo della Bossi-Fini che è possibilità rinchiudere –e solo per un breve periodo necessario ad analizzare la domanda– chi ambisce allo status di rifugiato.
Al di là degli schieramenti sull’immigrazione le forze politiche italiane agiscono in modo omogeneo e via via sempre più paranoico. A partire dalla metà degli anni Novanta vi è stato il tentativo di “ordinare” il fenomeno; poi l’illusione di “controllarlo”, permettendo l’ingresso solo a coloro che possono essere impiegati nel nostro sistema produttivo; infine ha prevalso la volontà di eliminare la cosiddetta “immigrazione clandestina”, un proposito perseguito con tale trasporto da incappare in palesi violazioni di norme costituzionali, com’è accaduto alla Bossi-Fini, che nel 2004 s’è vista bocciare dalla Consulta alcuni suoi importanti elementi.
Se i Cpt rischiano oggi di essere superati non è grazie a una riflessione critica sulla loro funzione, bensì a causa del crescente ricorso alla pratica delle espulsioni immediate. Molte persone sbarcate a Lampedusa nel marzo scorso sono state frettolosamente consegnate alle forze di sicurezza libiche o egiziane, senza alcuna rassicurazione sulle loro sorti. Il ministero degli Interni sostiene di aver agito in conformità alla normativa internazionale, avviando le espulsioni solo dopo l’analisi dei casi individuali. Ma poiché tra il 13 e il 21 marzo sono stati effettuati ben 1235 respingimenti –vale a dire che, nella migliore delle ipotesi, ogni ora venivano valutati almeno dieci casi– è difficile credere che le analisi siano state molto accurate. Amnesty Intarnational ha parlato di “deportazione”, critiche severe sono arrivate pure dall’Alto Commissariato dell’Onu per i Rifugiati e anche la Commissione dell’Unione europea ha chiesto chiarimenti al Governo italiano.