Francesco Dandrea, La luna sulle terrazze

09-05-2005

La bianca poesia del Salento è nei muri a secco, di Gianni Custodero


Avallata da Alberto Bevilacqua e dall’indimenticato Mario Luzi, vede la luce La luna sulle terrazze (Manni ed.), opera prima di Francesco Dandrea. Raccoglie cinque racconti alle frontiere della poesia di un medico salentino, «esempi di narrazione breve, a volte disegni su carta arditi e inusuali, che ci dimostrano bene a che punto di salute sia il racconto», secondo Bevilacqua.
Nelle pagine c’è prima di tutto e soprattutto il Salento. È quello arcaico delle fatture, delle tarantate e dell’acqua delle serpi nel pozzo della cappella a Galatina, delle capre e delle cisterne scavate nel tufo, che hanno l’odore della pioggia a settembre, quello delle piazze invase da trattori, macchine, camion e motorini, delle discoteche e degli sbarchi di sigarette e di albanesi, il Salento di sempre dei muraccioli a secco, della calce bianca «complice del bagliore accecante», della «inesauribile, insopportabile luce». È, in fondo, il Salento di Vittorio Bodini, con i gerani, le lucertole e la sua solarità mediterranea. È la piccola patria dove «stretti nel ricordo fioriscono i limoni» e «a sera i tronchi degli ulivi acquistano vita e popolano la notte» tra i paesi «uno dietro l’altro, vicini come abbracciati quasi a farsi compagnia nel loro isolamento, con le loro piazze silenziose e le facciate diafane delle chiese e dei palazzi baronali e le ortiche illuminate dai lampioni gialli».
Qui torna dalla Svizzera Totò «nuceddhra» con il suo macchinone «blu come la notte senza luna» e Pietro «concodrillo» alle sette in punto abbassa la saracinesca per «aprirsi alle strade della notte» con la sua Fiat uno rossa. Tra passato e presente si intrecciano i fili di vecchi e nuovi amori, con le loro Lucie e qualche trasgressione, con qualche ragazzo che mischia marijuana al tabacco, la fanciulla che consegna la sua verginità alla notte e ad Izmir, turco e venuto dal mare ad Otranto. Intrecciando un filo di rame in un telefono pubblico si può pure chiamare gratis l’Australia ma, dall’altro capo del mondo la voce femminile si perde nel vuoto.
Mario Luzi scrive di paesi «dove accade il solo non accadere e sembra davvero non impegnare nessuno lo stare o il passare delle stagioni in cui tuttavia le esistenze si sciolgono temporalmente», mentre Bevilacqua chiama in causa Delfini e Baldini per il culto del dettaglio emozionale che attraversa le pagine di Dandrea. Siamo, comunque, di fronte, all’esordio indubbiamente interessante e positivo di un autore dal quale, ormai consapevole e sicuro dei suoi mezzi espressivi, c’è da aspettarsi prove di maggiore impegno e di più ampio respiro.