Giovanni Nuscis, In terza persona

24-11-2006

Il compito originario dell'artista, di Gianmario Lucini

Recita la quarta di copertina di questa seconda, ottima pubblicazione di Giovanni Nuscis: "La terza persona del titolo, si riferisce a un destino di terzietà come estraneità dannata e nello stesso tempo salvifica, che è la dimensione poetica non marginale ma essenziale".
In questo spazio di salvezza/dannazione si giocano dunque queste liriche, secondo le intenzioni dell'autore, ma a noi sembra che la dimensione della salvezza sia vissuta come probabilità, del "se" (qualcosa di diverso accade), mentre la dimensione della dannazione, che viene anche ereditata dalla storia (qui in particolare la condizione storica della Sardegna, dove il poeta vive), che è poi la condizione del presente, è la certezza, non la possibilità.  Su questa discrepanza che viene narrata con accenti dolorosi ed accorati, quasi con sfiducia e disincanto in certi passaggi, poggia l'umore del libro, che non è poi neppure disperato ma piuttosto rimbrottante, sferzante, pur senza accenni espliciti, se non un poche liriche del volume.  E' come se il poeta volesse (assumendo quindi un ruolo, una parte sociale, e dunque in posizione poetica "non marginale ma essenziale") mettere di fronte agli occhi che non vogliono vedere tutto il rimosso politico, individuale, sociale, come a dire che se i dati su cui viene impostata la nostra vita sono questi che egli mette in luce, la conseguenza non potrà che essere di un certo segno.  Fa onore dunque a Nuscis questa particolare orizzonte poetico, che noi erroneamente o forse semplificando definiamo "poesia sociale", mentre in effetti non è altro che il compito originario dell'artista.  La condizione originaria del poeta infatti, o del  pittore, o dello scultore, è quella di essere un tramite non solo fra uomini e divinità esteticamente contemplata, ma anche fra uomini e uomini - esempio sublime ne è la poesia di Omero e dei greci del VI e V secolo.  Ci attrae dunque maggiormente, in questo libro, appunto questo importante recupero della funzione sociale della poesia - anche se, ovviamente, la poesia non è soltanto questo e il nostro autore dimostra di non dimenticarsene.
Per entrare nel merito della raccolta, vi sono quattro sezioni: la prima è una specie di anamnesi, di ricognizione della condizione esistenziale (privata e sociale) alla luce di un passato storico di adattamento di un intero popolo a costumi alieni dalla sua essenza, senza mai esprimersi come comunità sociale in prima persona nelle decisioni politiche (e qui il registro allude soprattutto alle vicende della Sardegna, ma non è poi così diverso anche altrove...).  La seconda parte entra nella considerazione del modo privato di vivere, e dunque in una dimensione di senso dove la cultura dell'adattamento ha pesantemente condizionato il modo stesso di pensare il rapporto IO/mondo.  La terza, brevissima sezione, affronta con alcune decise stilettate la condizione di rinuncia della poesia contemporanea e di chi la scrive attento a non urtare questo perbenismo.  La quarta ed ultima sezione tenta proiezioni, si interroga sull'esserci, sull'ambivalenza, sul volere e non volere, sull'ignavia.
I temi sono dunque vastissimi e credo che Nuscis non intenda licenziarli con questo volume, ma soltanto iniziarli.  L'orizzonte che egli delinea, così irto di contraddizioni e così dialettico, certamente ci induce a ipotizzare che egli intenda con questa raccolta soltanto annunciare una sua poetica, o definirla con più precisione anche rispetto alla raccolta precedente.
Una breve nota sul verso: non è il verso colloquiale che viene quasi spontaneo in questa poesia, ma - anche in correlazione con la scelta di terziarietà - piuttosto sostenuto, o comunque alieno da semplicismi verbali e mai frettolosamente licenziato, soprattutto per gli aspetti del ritmo, molto sorvegliato e ben equilibrato.