Lino Patruno, Alla riscossa terroni

01-03-2009

Un atto d'amore, di Vito Lubelli

 
“L’inferno dell’Iraq è l’ennesima campana a morto sull’illusione che il Mediterraneo possa tornare il centro del mondo. Ed è l’ennesima campana a morto sull’illusione che il Sud possa rivivere un protagonismo come prima che Colombo gridasse «Terra!»”. “Ormai americane le acque minerali lucane Traficante. In agguato la svizzera Nestlè attorno alle altrettanto lucane Gaudianello. Pronti gli spagnoli a prendersi l’olio d’oliva pugliese. Sudafricana la Peroni con stabilimento a Bari. Già in mano venete le più prelibate terre pugliesi del vino. Emiliano il latte di Gioia del Colle. Campani i pomodori del Tavoliere. Con etichette olandesi e vendute a noi le nostre stesse insalate. Inondati di prezzemolo cinese. Quando si saranno prese le cicorielle di campo potremo issare la bandiera dell’ONU. Sul giardino d’Italia, sull’agricoltura pugliese incapace di diventare agroalimentare, cioè di fare il salto verso l’industria, è passato lo straniero”.
Così iniziano rispettivamente Mediterraneo il Grande Traditore e Il Sud al miglior offerente, due degli illuminanti saggi brevi che compongono Alla riscossa terroni!, ossia Perché il Sud non è diventato ricco. Il caso Puglia, di Lino Patruno. Scrittore e giornalista barese, ex direttore di “La Gazzetta del Mezzogiorno”, Patruno condensa in queste cronache anni di riflessione e di esperienza sul campo della questione meridionale, grazie a un bagaglio di oltre venti libri sul Sud e sulla Puglia che hanno affrontato, come si fa anche in queste pagine, problemi e limiti della società, della cultura, della tradizione, della storia e dell’economia nostrane. Senza indulgere in tentazioni semplicistiche, né in un facile piangersi addosso tipico di tanta riflessione intellettuale meridionalistica, Patruno affronta con coraggio la questione meridionale vedendola non come un fenomeno locale, che non è affatto, ma attraverso la rappresentazione del problema italiano. In altri termini, ragionare nell’ottica di un paese, tutto sommato diviso, da unificare: e senza cadere nell’errore di sovvertire il problema, riproponendolo, quando si parla di “questione settentrionale”. Patruno propugna, pur in tutto il suo pessimismo, anzi proprio in forza di un’analisi severa, lucida, spietata, l’idea di un Sud agli antipodi dell’immagine convenzionale legata ai concetti di mafia e spazzatura. Scrive Giuseppe Vacca nella lunga prefazione che l’Autore, nella sua doverosa difesa degli interessi del Mezzogiorno fa di un ripensamento della questione meridionale, dando una risposta persuasiva che è, poi, l’unica possibile: e quindi il pensiero di Patruno rappresenta al meglio l’eredità del pensiero meridionalistico, che fa capo a Pasquale Villari, Giustino Fortunato, Lugi Sturzo, Gaetano Salvemini, Antonio Gramsci, e che ha scavato nella cause della sua fragilità e della sua congenita, debole competitività. Una riflessione, questa, che è stata ingiustamente derubricata e che invece Patruno tenta di risollevare, grazie alla profonda conoscenza storica e a una grande consapevolezza critica. Non denuncia, insomma, ma un lavoro di indirizzo politico e direzione intellettuale. Una dichiarazione d’amore, un atto d’amore drammatico.