Loris Campetti, Ilva connection

09-02-2014

Nelle acciaierie Riva corruzione e omissioni e un paese che non muore, di Giacomo Mameli

 

Il libro ha per titolo "Ilva Connection", sottotitolo "Inchiesta sulla ragnatela di corruzioni, omissioni, colpevoli negligenze sui Riva e le istituzioni" (Editore Manni, euro 14, pagine 182). Lo firma il giornalista Loris Campetti, 66 anni, marchigiano, redattore di punta del Manifesto (ne ha diretto per anni la redazione torinese). Con un linguaggio schietto, denuncia gli intrecci perversi che ruotano da sempre attorno alla grande industria, al malaffare italiano che coinvolge governi, sindacati, imprenditori di ogni risma. Oggi lo scandalo dell'acciaieria-killer sul mar Jonio, ieri la colossale Tangentopoli della petrolchimica con le razze padrone dei Nino Rovelli e Franco Reviglio fra Adriatico e Mar Tirreno, tra Portotorres e Porto Marghera, Priolo e Pisticci. E poi l'Acna di Cengio. O l'Eternit ammazza-gente di Casale Monferrato. O le morti bianche in ogni fabbrica, si chiamino Fiat Mirafiori, Thyssen Group o Saras poco importa. Per non dire dei disastri quotidiani che si chiamano Alitalia, Alemagna, Cirio, Parmalat, MontePaschi.
Qui ci fermiamo per riflettere su un malato terminale al quale Campetti fa la tac, l'Ilva, con "Emilio Riva il rottamaio" che «con pochi denari si è portato a casa la siderurgia italiana svenduta dallo Stato che, invece di tutelare un bene della collettività, ha scelto di liberarsene incassando per questa tipica privatizzazione all'italiana la metà dei soldi spesi per ammodernare lo stabilimento tarantino». Campetti propone una serie di testimonianze in presa diretta, dalle traversie dell'allevatore Vincenzo Fornaro («hanno prelevato quattro capre e quattro pecore di età diversa e le analisi delle carni hanno raccontato una situazione drammatica, con un effetto accumulo della diossina») al ritratto del Procuratore della Repubblica di Taranto Francesco Sebastio con «i media che hanno un posto di tutto rilievo nel sistema Riva e non solo per i troppi silenzi di una stampa ammutolita». Magistrati anti-lavoro, anti-operai? Dice Sebastio: «Se si arriva a ordinare l'abbattimento di oltre 2200 capi di bestiame e migliaia di tonnellate di cozze in cui il tasso di diossina e altri inquinanti sfonda il limite consentito, è normale che si determini l'ipotesi di reato per disastro ambientale». Chiosa Campetti: «Se si è arrivati a questo punto, è forse colpa della magistratura?».
No. Anche se nei testi classici di economia si legge che «nel lavoro di fabbrica il rischio è insito». Anche se c'è chi agita lo spettro «ricordati fratello che devi morire». Il fatto è che l'industria italiana - con negligenze decisamente superiori a quelle che si manifestano negli altri Paesi dell'Occidente industrializzato - non ha mai pensato alla tutela della salute nei posti di lavoro, dal piccolo imprenditore agricolo al grande manager delle multinazionali. Scorrendo queste pagine emerge una realtà tanto cruda quanto indiscutibile. Rimbalza «un sistema di potere e di gestione dell'economia non meno aggressivo, violento e antisociale di quello incarnato da Sergio Marchionne. In comune Marchionne e Ilva hanno l'arroganza e il disprezzo nei confronti dei sindacati di cui vorrebbero fare a meno, e se non ci riescono se li comprano e li pretendono succubi e obbedienti». Politici e sindacalisti sotto attacco. Che cos'è il Pala-Fiom di Taranto se non un edificio con campi da tennis e show room regalato dai Riva ai sindacati per tappar loro le bocche? Dice Campetti, ricordando gli anni settanta. «Erano i sindacati i tutori della salute, in linea e fuori dalla linea di montaggio, erano loro a dare agli scienziati le informazioni sui rischi, mentre oggi se va bene le ricevono. Se la salute è peggiorata per tutti è anche perché, con la rappresentanza politica, è saltata anche quella sociale e con essa l'autonomia sindacale e di classe».
Che fare? «Riacculturare i lavoratori, ascoltarli, costruire un'altra idea di relazioni sociali». Possibile nell'Italia disastrata di oggi? In un Paese che negli ultimi 10 anni ha perso oltre 20 punti di valore nella produzione industriale? In un'Italia che, con l'acciaio, ha perso la chimica e il tessile, sta perdendo i cantieri navali, sta smarrendo l'auto, in un Paese che tutto importa e nulla produce? Tutela della salute in primo piano. Oggi più possibile di ieri perché le nuove tecnologie consentono la convivenza tra ciminiere e territori. Vale nel mondo industrializzato ma non in Italia che ha cancellato la parola industria dalla sua agenda politica. L'Alcoa lascia la Sardegna (dove scarica fanghi rossi in mare) e se ne va in Islanda a produrre alluminio nel golfo dove si allevano salmoni (e lì scarica acque pulite).
Nelle prime pagine del libro Campetti dà la parola a Stefano Rodotà: «Tornare alla Costituzione, capitale culturale inutilizzato» perché «ha preso piede una lettura semplificata dei diritti e con essa una considerazione diffusa secondo cui i diritti costano, non ce li possiamo permettere». Ci permettiamo milioni di disoccupati. E migliaia di morti nelle fabbriche. Tutte invischiate «in una ragnatela di corruzioni, omissioni, colpevoli negligenze».