Marco Codebò. Appuntamento

01-03-2010

Un noir mediterraneo, di Domenico Gallo

Marco Codebò, professore di italiano che ha attraversato coast to coast le università degli Stati Uniti, ha pubblicato il suo secondo romanzo. Il primo, Via dei Serragli, prendeva il titolo dalla strada fiorentina in cui, per un breve periodo, si era trovata la sede di Potere operaio. Una storia strana, ha commentato qualcuno, divisa tra lunghe sequenze di una militanza oggi dimenticata e la descrizione di una vita statunitense contemporanea e lontana. Era quello un libro di distanze temporali e geografiche, di stili di vita inconciliabili; insomma una storia di “opposti estremismi”, con poche nostalgie. Estremismi, si intende, percettivi e non di piazza, e il protagonista sorvola i propri ricordi che si mescolano alla visione del suo mondo contemporaneo. Tutti noi viviamo un continuo sogno a occhi aperti, un rimescolarsi di impulsi elettrici che provengono dalla nostra mente e che, in qualche modo, si contendono la nostra attenzione. Appuntamento, invece, inizia come una storia di indagine ambientata tra Genova e Finale Ligure, e potrebbe essere un noir mediterraneo se, sotterraneamente, non si manifestassero altre forze, qualcosa che, nella prima parte, forse allude a Dürrenmatt e a quel suo modo di distendere la trama insofferente alle regole troppo semplici della letteratura di genere. In ogni caso il passato rimane un formidabile motore delle nostre emozioni, e nel libro riemerge un fatto di cronaca reale, la strage di via Fracchia, destinato a riproporre domande e rimanere un elemento convulso dell’immaginazione e dell’immaginario. Si trattò dell’uccisione di quattro militanti delle Brigate Rosse su cui, ancora oggi, esistono versioni contrastanti. Nel romanzo seguiamo, in Liguria e negli Stati Uniti, le conseguenze che questo episodio provocò sui protagonisti, ma c’è da chiedersi se il problema sia in realtà quello di convivere con troppe verità. Strizzando l’occhio a Thomas Pynchon e a L’incanto del lotto 49, Codebò coglie la nostra essenza di individui costretti a vivere in un mondo variabile e pacchiano, oppure, come mi ha insegnato a esprimermi mio figlio, perdutamente “maffo”.