Mario Lunetta, La forma dell'Italia

06-04-2009
Un coro di versi avversi, di Antonino Contiliano 
 
Come la filosofia, in concetti simbolici, include eticità
e linguaggio teoretico, così il teoretico (logico), in eticità e
linguaggio, può a sua volta essere incluso in concetti simbolici.
Allora nasce la critica etica ed estetica
W. Benjamin , Teoria critica

Il legame della poesia con il politico e il tempo che lo manifesta fa sì che un autore sia sempre “imbarcato” - diceva Sartre -, e lo è sempre dentro l’articolazione aperta dei rapporti di produzione del tempo e dei suoi cambiamenti; e ciò per rispondere con un “appello alla libertà” e della libertà e inequivocabile richiamo alla lotta e della lotta conflittuale nella repubblica dei numeri meritocratici e classisti. Una risposta che continui sia la liberazione, sia la pratica effettiva e radicale della libertà completa come autodeterminazione diretta e collettivamente comune al fine della soddisfazione dei bisogni materiali e immateriali che riguardano tutti, nessuno escluso.

Anche per Benjamin - lì dove certa politica di classe era estetizzata per usare anche della poesia in funzione ideologico-conformista - si tratta/va (anche per noi) di mettere a punto una tendenza di liberazione e libertà antagonista vs la contro-tendenza, il contrario cioè della tendenza; così come la controrivoluzione era il contrario della rivoluzione e non una rivoluzione contraria.
Crediamo che i due libri di poesia - Francesco Muzzioli, ALLA CORTE DEL CORTO, Roma, 2008; Mario Lunetta, La Forma dell’Italia (Poema da compiere), Lecce, 2009 - rispondano a questo imperativo etico-politico di “tendenza” rivoluzionario-materialistica, sebbene “inattuale”, attraverso la poesia civile di questi due loro lavori.
 
La poesia di una possibile avanguardia dell’”alieno” che, suonata tra le note di una spessa e tagliente melodia antilirica ironico-sarcastica in chiave di violino piazzata sulla nota del “re”, e senza “anima” e piagnistei di “io” sodomizzati, nel “teoretico (logico)” in eticità e linguaggio” include “concetti simbolici” e dà vita pure a “critica etica ed estetica”.
ALLA CORTE DEL CORTO, infatti, il re dei “Pitaliani”, poiché vuole irreggimentare tutti al suo stesso livello “li esamina e misura lui stesso e sai perché / nessuno deve essere più alto del suo re” (p. 20), e lì dove ci sono toni o semitoni che fuoriescono dal coro del “re”, nella “scena oscena”, per le strade di Pitalia o de La forma dell’Italia (Poema da compiere) “Sfilano (sfileranno?) per via dei Fori Imperiali / le gloriose truppe del Crimine Organizzato, reggimenti” (p. 31).
I due libri di poesia, pur pubblicati tra la fine del 2008 e l’inizio del 2009, costituiscono un unico e complementare coro di “versi avversi”, e se potessimo prendere a prestito un’icona o immagine-di-pensiero ulteriormente simbolizzante, per sottolinearne ancora e in abbundantia, ci viene in soccorso il Giardino delle delizie di Bosch.
Unico il bersaglio del grottesco ludibrio - la politica del re dei p-italiani, del racket governamentale italiano e della borghesiuccia bacchettona arruffona e piragna; complementare la sonorità iconico-significante dei due: ritmo-metro parodo-allegorico (tra rime baciate - “le veline sanno, senza fatica / quanto vale in politica la loro fica” -, p. 19; chiuse…, e alternate: “quasi ascosi aveva gli occhi nella testa, /la faccia macra e come un osso asciutta, / la pelle raggrinzita e mesta, / la cera cupa spaventosa e brutta.”, p. 26) di ALLA CORTE DEL CORTO; poematico lungo-frammentato, corsivizzato, parentesizzato…(tra chiasmi, ossimori chiamatici - “Scelleratezza nel Sublime. Sublime nella Scelleratezza”, p. 31-, e levis immutatio e le altre dissociazioni semantiche… di mente che “fatica e travagghiu / della mente, della mentula”, p. 59) di La forma dell’Italia (Poema da compiere).
Il “décerveler!”, l’imperativo della “farsa ubuesca inventata da Jarry, che dinamizza, il lin­guaggio poetico di Lunetta come «lingua bastarda» - impasto mobile e mescidato, infarcito di citazioni - che sembrano materiali caduti dal tavolino del Lunetta critico e teorico” -, ne fa un testo di plurivocità spigolosa.
Il percorso del viaggio richiede un verso tendente al lungo e la misura strofi­ca del poemetto, sebbene, questo, non si avvalga di curve sin­foniali e piuttosto si lasci costruire per snodi e sbalzi, per sommatoria di pezzi e con continue irruzioni e inclusioni, in progress, non finito e non finibile, come è del resto l’orrore dell’Italia degradata ogni giorno di più, che ogni giorno si ar­ricchisce (ma in realtà bisognerebbe dire “s’impoverisce”) di nuovi corollari ed addebiti. Poemetto per frammenti, dunque, continuamente inciso dalle interruzioni e dalle pause delle pa­rentesi, che assolvono svariate funzioni: la funzione della rottura, a spezzare qualsiasi onda melodiosa e anche qualsiasi continuità narrativa, essendo tale “spigolosità” uno dei pro­blemi della perdita di forma; la funzione della plurivocità, che fa insorgere voci supplementari, motivi in dibattito, argomen­ti concorrenti a rincalzo; e la funzione, infine, del cambio di pedale della voce enunciativa, che dinamizza il testo median­te diverse tonalità, sotto e a lato della linea principale fa pul­lulare una serie di mormorii, di aggiunte “a parte”, di discor­si rimasticati e irrefrenabili (pp. 10-11).
Il livello dello scontro è planetario (come dimenticare la bioetica, le neuroetiche o i vari sistemi di rilevamento e controlli che si esercitano nei luoghi di transito: aeroporti, porti, ferrovie, valichi etc), e la poesia dei libri di Muzzioli e di Lunetta si attrezza con armi da guerra non militari.
La speranza e la scommessa è che l’antagonismo in atto dei movimenti non si arresti, ma si dilati e incrementi i suoi spazi di libertà e azioni alternative al vivere irreggimentato delle misure del “corto” e della sua “corte” e coco-corte. Perché è qui che stanno anche i motivi del rinnovato conflitto di classe; motivi che, espressi in varie forme politiche, oltre che culturali e artistiche, danno senso antagonista anche alle nuove avanguardie che, nell’odierna rivoluzione no-global, si muovono in una con i movimenti dell’autodeterminazione, della democrazia radicale, della libertà e dell’esser-ci irriducibili alla trasparenza delle misure canonizzate.
E oggi, in questa Italia particolare, la “rivoluzione” della modernizzazione veltro-berlusconiana, che è una controrivoluzione che abbisogna di una opposizione senza quartiere, ad oltranza, non può essere lasciata senza giudizi e prassi alternative. E se non trova blocchi che non siano i movimenti degerarchizzanti, il tempo, generalmente inteso, della poesia o delle avanguardie, che scrutano le dinamiche socio-politiche e culturali globali (e ne scrivono e dicono), non può restare fuori da questa alleanza di comune demistificazione e decostruzione oppositiva. E a questo esercizio, come è evidente, la poesia di Muzzioli e Lunetta, non si sottraggono, anzi! Infatti sottraggono tempo e geografia piatti al modello dello spazio piatto al “guerriero della libertà” che cavalca il biscione vendendolo come un “ippogrifo”.
A guardare dentro la stessa arte e/o letteratura del nostro “secolo breve”, poi, le stesse rivoluzioni filosofico-scientifiche (oltre quelle politiche), che hanno toccato il concetto del tempo, hanno trovato modo di lavorarlo e immetterlo come materia nel suo laboratorio di allegorizzazione poetico-politica parodica dello spazio “piatto”. Qui, tutti e tutto (lattine, omo-culi, ominicchi e quaquaraqua… e l’altra merda), e primi, “todavía”, ma per diritto di primazia, nani e sottonani, sarebbe piatto come un francobollo per la futura geni(talità) degli eredi del re di “Pitalia”.