Niccolò Vivarelli, Slalom

01-10-2013

Recensioni, di Maria Cristina Coppini

Leandro aprì e chiuse gli occhi  più volte, gustandosi ancora pochi attimi nel letto accogliente, poi gettò via la coperta e saltò giù. Tutti gli altri dormivano ancora, ma tra poco sarebbero stati svegliati dalla voce di Giorgio che avrebbe gridato in ogni camerata il consueto "Sveglia, è ora di vivere!". Leandro prese il necessario per farsi la barba e lavarsi, affrettandosi verso i bagni per essere tra i primi. Matteo era già lì e si stava radendo, lo salutò sussurrando complice il nome affibbiatogli quando era in piazza, Pistillo, sebbene sapesse che era vietato. Strano il suo comportamento, strano trovarlo in quei bagni che non erano del suo dormitorio, strano il suo atteggiamento assorto e l'aspetto smunto; ci avrebbe parlato, ma non quel giorno, non aveva tempo, tra poco sarebbe uscito per la sua prima licenza. Nel refettorio vide gli  sguardi solenni tra gli anziani, qualcosa di grave era successo: Gabriele Lincetta, il siciliano, conosciuto  in piazza come Agonia, dopo dieci mesi di comunità era ancora resistente al cambiamento, perciò era scappato. Alcuni residenti erano già andati a cercarlo, ma per ora non lo avevano trovato. Leandro invece, a trentaquattro anni, era stanco di non poterne più, in otto mesi di residenza  nella Comunità Il Cantiere non era diventato un altro, ma si sentiva più forte e provava emozioni nuove...
Niccolò Vivarelli si è ispirato a un fatto di cronaca nera che negli anni  novanta aveva seguito come giornalista, l'omicidio di un residente in una delle prime comunità italiane per il recupero dei tossicodipenti, che portò anche alla condanna di Roberto Muccioli, il carismatico fondatore. L'autore adopera un linguaggio che è credibilmente simile a quello usato dai tossicodipendenti e in particolare da quelli "ripuliti", che hanno vissuto esperienze di recupero. Tanto è vero che il lettore con il passare delle pagine quasi si convince che il libro sia stato scritto proprio da Leandro, il protagonista, il quale per terminare il suo percorso e riprendersi il lavoro, per tornare a essere padrone di se stesso, si era trovato a dover scendere a una compromesso sulla verità, a promettere di non informare le autorità su quanto era stato testimone. Forse Leandro, attraverso un libro, avrebbe potuto trovare il modo di mantenere fede alla parola data e denunciare le coercizioni fisiche e psicologiche, i sospetti di connivenza dei responsasbili della comunità con i trafficanti di droga, le umiliazioni, i ricatti, i giochi di potere. In realtà in un'intervista Vivarelli ha rivelato che questa vicenda violenta ha continuato a tormentarlo per anni fino a quando non ha deciso di scriverne la storia, "mescolando un po' le carte con licenza letteraria". Uno stile lineare, con immagni efficaci e talvolta poetiche, che riporta  descrizioni di Firenze e dintorni come era negli anni  novanta, con le cabine telefoniche a gettoni, i primi cellulari, la novità della vidimazione del biglietto ferroviario, il motorino Ciao e il Suzuki Burgman. Due omicidi, paura, desolazione, dipendenza, traffici di ogni tipo, un po' di sesso e forse anche amore.