Paola Frandini, Giorgio Bassani e il fantasma di Ferrara

01-03-2005

Il rapporto tra Bassani, l'ebraismo e la città di Ferrara, di Angelo Petrella


Il rapporto tra Bassani, l’ebraismo e la città di Ferrara è stato a più riprese analizzato nella vasta bibliografia critica esistente sull’autore. Questo saggio non si allontana dal medesimo tema, eppure adopera un taglio decisamente originale, ponendo al centro dell’interpretazione la particolare accortezza prestata da Bassani alla topografia ferrarese. La parola «realismo», infatti, da sola non spiega l’insistente elencazione di strade, piazze e luoghi così meticolosa da superare qualsiasi esame cartografico. La Frandini s’interroga su quale possa essere l’elemento di scarto che impedisca l’appiattimento de Il romanzo di Ferrara sulla mimesi. A Bassani, infatti, occorreva un filtro storico che gli permettesse di trasformare in eroi i mediocri borghesi della sua città e in tragedia l’insieme delle loro vicende provinciali: questo filtro è offerto dalle leggi razziali fasciste, che permisero all’autore di riscoprire le proprie radici ebraiche. Il romanzo di Ferrara ruota tutto attorno a questo nostos, in un’operazione di recupero e rimozione a un tempo. L’ebraismo bassaniano moltiplica i livelli di lettura della prosa, raccontando la piccola diaspora entro le mura della città estense e moltiplicando i livelli di lettura della narrazione: «i romanzi sono romanzi e anche altro: insegnamento, preghiera, percorsi iniziatici e un po’ simboli». Ferrara, inizialmente sublimata attraverso uno stile posato e distaccato, ritorna dunque con una concretezza biologica e raziocinante al punto tale da poterla definire Doppelgänger. Ecco spiegata l’ambivalenza del rapporto tra lo scrittore e la sua città, che resta sempre città del cuore, lontana dalla cerebralità metafisica d’un De Chirico; ed ecco spiegata anche la distanza di Bassani da altri «cantori» di Ferrara, conterranei e non, quali Govoni, De Pisis, D’Annunzio o Savinio.