Raffaele Crovi, Diario del Sud

28-07-2005

Raffaele Crovi: "Io, che ho imparato da Vittorini ad amare il Sud", di Roberto Carnero


Ultimamente Raffaele Crovi sembrava avere l’intenzione di tracciare un bilancio della sua attività letteraria ormai cinquantennale. Sono appena usciti due volumi che raccolgono suoi scritti sparsi: Giornalista involontario, contenente una scelta degli articoli pubblicati nei vari decenni su diverse testate, e Diario del Sud, con interventi su libri, luoghi, persone del Meridione d’Italia, oltre ad alcune poesie inedite. E sono di prossima pubblicazione: Dialogo con la poesia, costituito dalle recensioni alle opere in versi di altri autori, e L’ippogrifo della lettura, dedicato a scritti sulla letteratura e sulla società. Si potrebbe essere scettici sull’opportunità di riproporre in volumi scritti nati in origine per riviste e giornali. Eppure questi testi, alla lettura, si rivelano freschi, vivaci, stimolanti, come se fossero stati scritti ieri.
Crovi, come mai questa volontà di ricapitolazione?
“Sia io che altri lettori ai quali ho sottoposto questo materiale, abbiamo avuto modo di constare la tenuta nel tempo degli scritti, a livello sia di contenuti, di analisi, sia di linguaggio. Penso che ciò sia dovuto al fatto che io, come critico, mi sono sempre preoccupato di utilizzare una lingua non specialistica, non troppo criptica o tecnica. Ho sempre cercato di scrivere come se volessi consegnare queste note alla futura memoria dei miei figli. Il fatto di ripubblicarle in volume è un tentativo di evitare un loro uso arbitrario da parte dei miei eredi o degli editori quando non ci sarò più. Non ho mai amato le vedove e i figli che si inseriscono in modo avventato nella memoria culturale degli scrittori”.
Perché “giornalista involontario”?
“L’aggettivo involontario dice diverse cose. Innanzitutto che non sono un giornalista professionista. Ad esempio non ho mai fatto cronaca. Io ho fatto, al massimo, il reporter culturale. Mi è piaciuto piuttosto osservare e valutare alcuni fatti, alcuni fenomeni. All’origine non c’è una scelta programmata. Involontario, poi, vuol dire che il mio svolgere un lavoro di carattere giornalistico è legato soprattutto al gusto di partecipare a determinati dibattiti e discussioni. Il volume è diviso in quattro sezioni: Interviste (da Italo Calvino a Toni Morrison, da Jorge Amado a Tiziano Sclavi); Reporter (cronache letterarie, premi, ecc.); Dialoghi polemici (polemiche, lettere aperte, ecc.); L’Italia nei libri (soprattutto recensioni). In quest’ultima parte ho preso a pretesto i libri degli altri, privilegiando un giornalismo comunicativo, narrativo, sociale. In generale, in generale si è trattato di un discorso non omogeneo, un po’ improvvisato nelle sue tappe,nel nostro Paese”.
Come mai ha scritto un Diario del Sud?
“Il punto di partenza è stata l’attenzione ad alcuni scrittori meridionali. Ripercorrendo la storia della letteratura italiana dell’Otto e Novecento ho fatto una scoperta: gli autori che hanno più contato sono o del Sud o del Triveneto. Gli scrittori metropolitani (quelli di Roma, Milano, Firenze o Bologna) erano i meno esemplari. Se penso a Verga, Pirandello, Tomaso di Lampdusa, Brancati, Vittoriani, Sciascia o a Nievo, Parise, Comisso, mi sembrano gli autori dotati di maggior fascino. Pur essendo legati ai loro territori, hanno manifestato una grande apertura e attenzione verso l’esterno. L’interesse che essi rivestono risiede nel fatto che hanno raccontato la società, i linguaggi, le geografie, la cultura quotidiana delle loro regioni, interessate da processi di mutamento e di evoluzione. Lo hanno fatto con una vitalità molto forte e concreta, evitando il rischio della retorica intellettuale o sentimentale”.
Questo è stato il punto di partenza, ma il suo libro è anche altro…
“Nel 1954 incontrai Elio Vittorini, del quale fui per dodici anni l’assistente. Da allora ho preso ad analizzare la realtà culturale del Sud Italia in maniera approfondita. Ho capito che la cultura meridionale era ricca e proiettata verso l’Europa. Il Meridione non è mai stato provincia, anche a livello filosofico, politico, ecc. Nel libro, poi, la mia attenzione anche alla terra, alla vegetazione, alla cucina, ai profumi, agli odori… Lo si vede bene nelle quattro poesie che ho inserito nel volume. In quella intitolata L’odore della Sicilia ho cercato di dire come l’insieme di questi odori costituisca la civiltà stessa”.
Lei insiste molto sulla dimensione etica del lavoro di scrittore. In cosa consiste?
“Se la letteratura ha un senso, è quello di favorire una sorta di dialogo. Il personaggio, oltre che indagare la propria etica, dialoga con quella della società, mettendola in discussione. L’altro elemento che dà identità alla letteratura, deve essere la messa in scena di un dialogo linguistico e morale. Gli scrittori non devono avere un punto di vista pedagogico, ma di indirizzo etico, e in questo senso svolgono anche un ruolo di formazione civile. Anche in scrittori ludici, come il primo Palazzeschi, o sperimentali, come Gadda, emerge questa dimensione etica, di forte moralità. Ciò accade sempre con gli scrittori migliori, che testimoniano la loro epoca con tutte le sue testimoni. Anche loro sono testimoni involontari, eppure grandi testimoni”.