Riccardo Bagnato, iJobs

11-10-2011

La biografia critica, di Ludovico Fontana

 

Visionario, perfezionista, carismatico, sfuggente, crudele, manipolatore. Tutti aggettivi che si addicono a Steve Jobs, il fondatore della Apple morto lo scorso 5 ottobre. Riccardo Bagnato, giornalista modenese, che da dieci anni segue le vicende di Apple, ne ha scritto un libro, iJobs: Biografia non autorizzata di Mr Apple che il 26 ottobre prossimo uscirà con la salentina Manni Editori.

Bagnato, da quanto stava lavorando al libro?
«Più o meno da un anno, l’idea era nata quando lasciò l’azienda l’anno scorso per l’ultima volta».
Ha mai conosciuto personalmente Steve Jobs?
«No, non ne ho avuto occasione. Bisogna dire che negli ultimi tre o quattro anni era praticamente blindato. Erano più le volte che era in uscita per malattia che operativo in azienda. Certo, potevi fare appostamenti a uno dei tanti eventi a cui partecipava, ma non era la stessa cosa».
«Artista» è la definizione migliore per lui?
«Sì, e lo confermano tante sue celebri frasi. Tra questa ce n’è una famosissima, detta durante un intervento davanti ai giornalisti. Gli chiesero come mai i suoi prezzi fossero così alti rispetto agli altri, lui rispose We can’t ship junk. Cioè noi diversamente dagli altri non vogliamo e non possiamo distribuire robaccia. Vogliamo fare il miglior prodotto che ci possa essere al mondo, vogliamo essere riconosciuti per aver prodotto la cosa migliore e lavoriamo ogni giorno per questo. Così giustificava in parte i costi apparentemente o sostanzialmente maggiori. Era una delle sue ossessioni. E nella sua volontà di essere il migliore si nasconde la cifra artistica. Quando lui e molti artisti dicono "il migliore", dentro intendono quasi "il più significativo", il più importante».
Non sempre, però, ha realizzato il prodotto migliore.
«Sì, i suoi flop sono stati tanti, ma hanno comunque segnato passaggi importanti nella sua carriera. Per esempio i computer della Next, l’azienda che fondò dopo essere uscito da Apple la prima volta, furono un insuccesso clamoroso. La Next stava fallendo quando fu comperata dalla Apple. Eppure il sistema operativo usato in quei computer divenne la base di quello ancora usato, oggi, nei Mac».
Quali altri errori ha commesso?
«Per quanto riguarda i prodotti aziendali, sono stati definiti dal mercato e la storia. Per gli errori personali entriamo in un territorio più delicato. Però un esempio che tutti citano è il comportamento dittatoriale, carismatico ma irrispettoso, che aveva nei confronti dei colleghi o neoassunti. Può essere considerato un errore dal punto di vista umano, ma lo si deve subito dopo inserire nel complesso sistema persona».
Quanto era cattivo Steve Jobs?
«Non credo sia una definizione accurata della sua personalità. I biografi americani usano spesso un aggettivo poco usato da noi: mercuriale, uno che può essere il massimo della gentilezza e il momento successivo il massimo della cattiveria, intesa come determinazione ad annullare quello che gli sta davanti. In questo Alan Deutschmann, uno dei più lucidi biografi, lo definisce una persona che praticava una delle tante tecniche di persuasione: intimorire dall’inizio la persona davanti per poterla poi ricostruire a propria immagine e somiglianza nel tempo».
Lavorarci e viverci insieme non dev’essere stato semplice.
«Infatti. Sono davvero tante le persone che hanno vissuto storie importanti con lui e con cui si è lasciato, perché aveva una sua ossessione, un obiettivo messianico da compiere. Tra lui e l’obiettivo sono pochi quelli che sono riusciti a tenere botta. Sicuramente uno dei pochi è la moglie, una donna straordinaria che ha vissuto con lui gli ultimi vent’anni, madre dei loro tre figli. Pochi però sanno che Jobs la abbandonò, per la seconda volta, quando rimase incinta. Poi Jobs si ricredette, tornarono insieme. E questa è stata una delle svolte più importanti della sua vita».

 
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