Rosalba Conserva, Casa Bàrnaba

05-02-2005

A Casa Bàrnaba che vite disperse, di Giovanni Tesio


Romanzo d'esordio di Rosalba Conserva, studiosa di Bateson, Casa Bàrnaba racconta di una famiglia pugliese a metà del Novecento. Una transizione non da poco nella storia d'Italia , se è vero che ritmi, riti, costumi, abitudini, stili di vita sul filo degli Anni Cinquanta passano da una forte impronta contadina –la stessa che agiva prima della guerra- ad un primo sussulto (non solo nel Nord-Ovest) di carattere industriale.
Casa, qui, almeno in due sensi: sia nel senso di una famiglia che incrocia le sue storie con la Storia che sta costantemente sullo sfondo e che compare in casi rarissimi come emblema di eventi memorabilmente indelebili, sia nel senso di un'abitazione che perde a poco a poco i suoi connotati tradizionali dietro un cambiamento che sconcerta e scompiglia. Il luogo non è altrimenti designato che da un toponimo d’invenzione, Grottola, per altro affine ad un toponimo realmente esistente, collocabile sulla strada –qui certamente più mitica che reale- “che porta a Brindisi”. Un paese che compare sempre e soltanto di sguincio in una sorta di continuo découpage. Così come appare fortemente scheggiato e frammentario tutto il romanzo, che si nega ad un raccontare rotondo e si muove (tre i tempi o le sezioni) in un groviglio di traiettorie, rimandi, allusioni, intenzioni, ecolalie: una volta l’interno della casa, subito dopo un personaggio, poi un pretesto, quindi una riflessione, e ancora una frase significativa, intorno a cui costruire le costanti di un carattere, di una figura, di una famiglia intiera.
Gremita come un termitaio, la narrazione incrocia un mondo popoloso di comparse e figure (da Giuseppe detto il Monaco, che muore di una purga ampiamente scaduta, al negoziante di Stoffe Ciliberti, che rassomiglia in modo impressionante a Gregory Peck, al costruttore Giacinto Grandolfo, che voracemente cementifici, sono addirittura una sessantina).
Ma a collegarne le trame disperse resta la continuità dei Bàrnaba: il padre Cosimo, diabetico e contumace, e la madre Rita, che non sta mai ferma; i figli diversi: Adele, la vestale maliziosetta; Luigino che tace sempre; Lellino che fa la vita del Michelaccio, amoreggiando con “la madre di Elisa” che Adele chiama “quella lì”; Italo, che è di cervello corto; Cettina, che è fuggita dietro un pilota della Milemiglia o magari della sorella di lui (“boh”); Peppina che ha sposato il “signor Raguso” ed è madre di Irene e Giulio Raguso, i nipoti di Brindisi che ogni estate villeggiano in casa Bàrnaba, entrando in contatto con un universo di sentori e di segreti: “La forma di una vita viene dalla forma della sua infanzia, e la forma dell’infanzia è la forma della casa che poi la racconta”. 
Tra le minime trace dialettali e le tante maiuscole di un cosmo di asssoluti, l'arrivo della "Macchina" interviene come fattore di dispersione, non senza indurre nei fratelli Raguso la coscienza di un esercizio di crescita. Quanti angoli - oltre ogni distruzione - una casa possa lasciare inesplorati. Quanto dolore - nella storia degli umani - resti da capire ed esplorare.