Sandro Dell'Orco, La dimora unica

06-01-2010
Prigione o tana?

Due uomini in una grande stanza grigio piombo, dapprima buia poi illuminata da una impietosa luce bianca.

L'uno - Arturo -  è un sessantenne brizzolato, l'altro - Sergio - è una versione vent'anni più giovane del compagno di sventure. Perché sventure? Perché i due a quanto pare si sono rifugiati in quel luogo per sfuggire a un tremendo diluvio, un'inondazione che minaccia la sopravvivenza stessa del genere umano. Ma sarà davvero questa la verità? Mentre esplorano palmo a palmo la loro nuova spoglia dimora, i due si interrogano sul loro passato nebuloso, sulla loro identità e soprattutto sul loro futuro. Fino a quando l'apparizione di una figura femminile velta non li strappa alle loro elucubrazioni...
Dopo il noir kafkiano di Delfi Sandro Dell'Orco pubblica un po' a sorpresa una breve ma suggestiva pièce teatrale. L'impianto drammaturgico è innegabilmente di derivazione e atmosfere beckettiane; l'approccio filosofico forse ricorda di più Sartre, ma comunque siamo dalle parti della grande tradizione esistenzialista simbolista- fantastica del '900. Sin da subito appare infatti evidente che al centro dell'attenzione di Dell'Orco non c'è la vicenda strettamente intesa – poco più che un mero pretesto – ma piuttosto un sottotesto ricco di allusioni, richiami ed enigmi. Cosa è esattamente questa dimora (unica?) nella quale i protagonisti si svelano e nascondono in un gioco di trasparenze e dissolvenze? Una prigione o una tana? Un luogo dell'anima o un bunker? Il mood escatologico che aleggia sulle pagine rimanda a una apocalisse concreta o a un simbolo, magari un inganno? I due protagonisti – l'uno doppelgänger più giovane dell'altro – sono legati da vincoli di parentela o sono due aspetti della stessa persona (presenti contemporaneamente grazie a un paradosso temporale o a una proiezione psichica non si sa)? La mattanza da serial killer della quale cade vittima Elvira è davvero opera di una oscura forza esterna o peggio i mostri vanno cercati nell'anima di Arturo e Sergio?
Interrogativi che non sta a noi sciogliere e che forse nessuno – neanche l'autore – può sciogliere, ma che rappresentano la spina dorsale del testo assieme alle considerazioni più o meno filosofiche che via via i protagonisti propongono al lettore.