Tra i ruderi di Groznyj

01-11-2005

Spunta un'antologia tra i detriti ceceni, di Curzia Ferrari


Fatica non da poco, questa di Paolo Galvagni, che ha tradotto e raccolto in un’antologia molti testi poetici sul conflitto ceceno, certamente marginali rispetto alle comuni tematiche appartenenti alla grande, ma già ben sondata, galassia della slavistica. Gli autori sono oltre quaranta, e presentano dunque culture, inclinazioni ideologiche e cifre linguistiche diverse. Si va dai novanta anni di Semen Lipkin ai ventidue di Artem Kosmarskij, in un susseguirsi e incrociarsi di scuole, o ricorrendo a una scrittura istintiva, dettata dall’emozione.
Impossibile costruire un discorso critico su un florilegio di poesie del genere nate fra la quotidianità di una guerra insensata, che da oltre dieci anni insanguina il povero Paese fra i contrafforti del Caucaso e la steppa. La guerra cecena è nata infatti nel 1991. I carri armati di Eltsin la soffocarono, ma per poco. Sotto Putin, nel ’99, all’insegna della lotta al terrorismo divenne un mattatoio, ma la storia della ribellione cecena risale al tempo degli zar. Non caso uno di questi poeti, Andrei Gricman, parla di lotta che dura da un’eternità. Ed è significativo il distico di Vladimir Starikov: "I segni del tempo: le mucche in Inghilterra,\la cometa nel cielo, e la guerra in Cecenia". E c’è chi, con rassegnato dolore, incrocia le braccia ed abbandona l apenna. "Ho tentato di scrivere una poesia\sulla Cecenia. Non\mi è venuto nulla".
Naturalmente lo scopo principale del curatore è quello di focalizzare l’attenzione di chi legge sull’impegno civile dei poeti più che sulla qualità dei loro testi, in mezzo ai quali spiccano comunque piccole perle. In pochi versi Boris Kocejsvili invoca la spirito di Sostakovic che scrisse una sinfonia sull’epico assedio di Leningrado, che aiuti la Cecenia! Viktor Krivulin invoca un nuovo Tolstoj, Marina Muljar vede solo la traccia di ciò che da queste parti fu il quotidiano.
Va detto che Tra i ruderi di Groznyj non è un libro di parte e bisogna leggerlo con occhio equo. Non a caso uno degli autori condanna "i tentativi isterici" di conservare l’identità territoriale di questa terra infelice. La guerra, come ben sappiamo non è utile a nessuno.