Un linguaggio dell'anima

20-04-2006

Duro a tradurre, di Enzo Golino


Chissà cosa avrebbe detto Tommaso Landolfi (1908-1979), cesellatore di linguaggi inventati o desueti, delle traduzioni di alcune delle sue opere pubblicate anche in paesi dove le rispettive lingue poco si prestano all’impresa. Raccontano l’arduo compito Alon Altaras per l’ebraico moderno, Monique Baccelli per il francese, Anabela Cristina Ferreira e Vera Horne per il portoghese, Etsuko Nakayama per il giapponese. Gli esempi e l’aneddotica informano sui vari passaggi delle trasferte di titoli landolfiani oltreconfine (Un linguaggio dell’anima, a cura di Idolina Landolfi e Antonio Prete) mentre nella prima parte del volume la lingua dello scrittore è analizzata con una centralità finora trascurata. Maurizio Dardano, Sergio Givone, Maria Antonietta Grignani, Antonio Prete, Mauro Serra superano il cliché linguaiolo della sua prosa per approfondirne le strutture. E sempre di più –credo– il Landolfi europeo appare protagonista di quel filone letterario novecentesco che ha rappresentato l’inadeguatezza della parola e dei suoi significati. Come insegna uno dei capostipiti, Hugo van Hofmannstahl, con la Lettera a Lord Chandos (1902).