Così giocavano

Così giocavano

sottotitolo
Giochi fanciulleschi in Salento e oltre
copertina
anno
2008
Collana
Categoria
pagine
120
isbn
978-88-6266-069-3
11,40 €
Titolo
Così giocavano
Prezzo
12,00 €
ISBN
978-88-6266-069-3
nota
Prefazione di Tullio De Mauro
La lippa, la trottola, i sassolini, gli aliossi, la campana, la raganella, il cerchio di bicicletta, le stacce, il gioco dei tappi sono giochi fanciulleschi che – seppure soppiantati da videogiochi e play-station – persistono nella memoria storica di chi li praticava un tempo. La descrizione dei singoli giochi, le diverse denominazioni, le varianti delle regole sono state riprese dalla viva voce delle fonti in ventuno località del Salento.
Lo studio si propone come primo esperimento di un’analisi sinergica condotta sui versanti etnografico e linguistico. E vuole anche fissare ricordi di lingue e culture che, tramandati per via orale, col passar del tempo si vanno facendo sempre più evanescenti, incerti, frammentari.
Annarita Miglietta è professore associato di Linguistica italiana nella Facoltà di Lingue e Letterature straniere dell’Università del Salento. Si occupa anche di dialettologia ed educazione linguistica. Ha partecipato con comunicazioni a convegni in Italia e all’estero. È autrice di numerosi saggi pubblicati su riviste italiane ed internazionali. Tra gli ultimi lavori i volumi Il parlante e l’infinito. Modalità epistemica e deontica nel Mezzogiorno (Congedo 2003), Fra dialetto e lingua in Salento (Manni 2004) e, con Alberto Sobrero, Introduzione alla linguistica italiana (Laterza 2006).

PREMESSA
 

In realtà linguistiche nelle quali lingua e dialetto, geneticamente affini, coesistono, entrano in contatto e in conflitto, il repertorio dei parlanti, inevitabilmente, subisce trasformazioni anche profonde: si delineano nuove varietà che nel continuum sfumano, sbiadiscono l’una nell’altra. Inoltre, all’interno della stessa varietà fenomeni dell’uno e dell’altro codice coesistono, interferiscono, fino a rendere impossibile l’attribuzione di singole unità alla lingua o al dialetto.
 Anche microaree marginali ed isolate, residualmente dialettofone, sono caratterizzate da vivaci dinamiche linguistiche: da una parte risentono delle conseguenze di un generale processo di ‘sdoganamento’ del dialetto, che ne provoca una rivitalizzazione dalle mille sfaccettature, dall’altra subiscono la sempre forte pressione dell’italiano –un italiano a sua volta cangiante lungo diversi parametri– sul dialetto –un dialetto en detresse–, con conseguenze pesanti sulle strutture intermedie fra italiano e dialetto, sulle strutture della conversazione, persino sulle strutture cognitive. In queste condizioni fatti anche ‘profondi’ di fonetica, lessico, morfologia, sintassi dialettali passano nella produzione linguistica “in italiano” di parlanti molto attenti e controllati, persino in situazioni formali come l’intervista.
I cinque saggi presentati nel volume mirano proprio ad individuare e ad analizzare i complicati fenomeni di interferenza tra lingua e dialetto in Salento, in diverse tipologie di parlanti (dai bambini ai giovani agli anziani) e in diverse situazioni comunicative: a scuola, nel gioco, durante l’intervista con questionario e durante l’intervista semidirettiva.
In particolare, L’italiano nel dialetto: il caso dell’infinito1 parte dall’analisi del fenomeno dell’impopolarità dell’infinito in dipendenza da verbi modali che esprimono volontà, attività futura e “dopo i verbi che esprimono movimento, concessione e timore”, impopolarità che secondo Rohlfs e Bonfante è attribuibile al sostrato greco, secondo Parlangeli e Mancarella al superstrato bizantino, mentre secondo una tesi innovativa e recente di A. Calabrese più che al sostrato o al superstrato è da ricercare nella struttura sintattica del dialetto salentino, che accetta l’infinito dopo i verbi a ristrutturazione. Lo studio condotto in diciassette località presso tre informatori per località con il classico questionario traduzione, ha messo in luce il fatto che oltre ai fattori extralinguistici: località, età ed istruzione, gioca un ruolo determinante sulla vitalità e l’uso dell’infinito la forte pressione esercitata dall’italiano, sistema verbale ricco di modalità, sul dialetto, che ne è poco dotato: quella che si osserva, insomma, è la riorganizzazione del sistema verbale salentino sotto la spinta di un’innovazione di livello piuttosto cognitivo che linguistico in senso stretto, proveniente dall’italiano.
In Italiano regionale: diffusione, peso e prestigio delle varianti2 si analizzano alcuni fenomeni (lessicali, semantici, morfologici, sintattici) di italiano regionale, registrati presso dodici informatori (sociolinguisticamente differenziati per sesso età ed istruzione) a Lecce, in seno all’indagine “La lingua delle città” (progetto cofinanziato MIUR). Anche in questo caso, la complessità della realtà linguistica salentina –in cui lingua e dialetto determinano la situazione che Berruto definisce di bilinguismo con dilalia, con l’italiano regionale non varietà monolitica, ma cangiante in relazione a variabili diatopica, diastratica, diacronica diamesica– influenza l’accettazione integrale o parziale o il rifiuto di ciascun item regionale secondo ‘regole complesse, che risentono fortemente di fattori extralinguistici come: l’intenzionalità del parlante, la sua sensibilità metalinguistica e, soprattutto, la censura scolastica.
In Italiano regionale: il comportamento della fonte nell’intervista il fuoco è rivolto alle reazoni della fonte durante le interviste con questionario: le scelte linguistiche del parlante risultano in buona parte determinate, più che dal reale stato oscillatorio delle varianti nell’area, da fattori non strettamente linguistici, come le esigenze di convergenza / divergenza conversazionale o le necessità dell’autorappresentazione. Il quadro delle risposte ottenute in città può così apparire caotico e indecifrabile a chi si limiti a un’analisi geolinguistica ‘classica’. Quest’indagine dunque da una parte sollecita una lettura dei dati non meramente diatopico-meccanicistica, dall’altra riapre la discussione sulle considerazioni di metodo sull’organizzazione del questionario e sulle tecniche di raccolta del materiale che hanno accompagnato la ricerca sul campo fin dagli albori della dialettologia.
Ne Il dialetto nell’italiano: come parlano i bambini, a scuola e nel gioco si analizzano alcuni dati raccolti presso i bambini di due seconde e due quinte di una scuola elementare alla periferia di Lecce. I bambini oltre che in classe sono stati osservati durante il tempo libero: le feste di compleanno, le partite di calcio. I risultati riflettono la fisionomia del rione San Pio, in cui abitano i bambini: lo stile di vita popolare e l’uso prevalente del dialetto incidono sulla produzione linguistica dei piccoli parlanti. Qui, infatti, lo stigma del dialetto non è ancora del tutto superato, e i bambini, pur a fronte di atteggiamenti condizionati dalle stereotipie famigliari, esibiscono in buona parte produzioni effettive ricalcate sulla forma e sulla struttura del dialetto. Il repertorio dei bambini, proprio perché hanno a disposizione italiano e dialetto intercambiabili, è complesso come quello degli adulti: usano l’italiano popolare nei domini scuola e famiglia; usano il dialetto, con funzione ludico-espressiva, quando giocano, con i pari; parlano un italiano misto al dialetto quando imitano gli adulti, loro modelli linguistici. Infine, si rileva la profonda frattura che c’è in realtà marginali come quella esaminata tra offerta formativa della scuola e le esigenze espresse dal contesto socio-ambientale e dal patrimonio linguistico e culturale degli alunni e delle famiglie.
 I ‘codici mischiati’3 chiude il volumetto con alcune riflessioni sui movimenti dell’italiano e sulle possibili responsabilità dei suoi mutamenti in atto. I dati, raccolti presso anziani e giovani attraverso interviste semidirettive, hanno dimostrato come alcuni fenomeni come ad esempio la paratassi, che spesso viene indicata come “malattia” dei giovani, non dipendano dal fattore età, ma possano essere un effetto “normale” della progettualità tipica dell’orale, che influenza le produzioni di giovani e di anziani, anche colti. Il cambio di codice, che si realizza prevalentemente come code-switching per gli anziani e come code-mixing per i giovani, e l’uso dei regionalismi (panmeridionali per i giovani, più locali quelli degli anziani) sono poi sintomi innegabili della compresenza-compenetrazione dei due codici, almeno in Salento. In questo quadro si sostiene che i fenomeni di movimento dell’italiano vadano interpretati come fenomeni da annettersi più alla fisiologia che alla patologia della lingua.
Risulta chiaro, in conclusione, che al crocevia lingua-dialetto, in una realtà linguisticamente dinamica com’è quella del Salento, si determinano fenomeni di riassestamento del sistema, di ridefinizione dei singoli elementi all’interno delle strutture che si sovrappongono in modo sia sostitutivo che alternante e sommatorio: in questa fase di transizione è facile diagnosticare instabilità, casualità, caoticità, mentre esiti così complessi –a ben vedere– sono ancora ben inquadrabili nella dinamica evolutiva di un repertorio ricco, poco compartimentalizzato, in movimento vivace.