Dylan revisited
Avendo attraversato le generazioni come un politico della Prima Repubblica – elettrico e sballato, va detto – Dylan si è rispecchiato tanto nei coetanei quanto in chi è nato quando la sua vena si stava già (momentaneamente) inaridendo. Ha ballato con i nonnini e bevuto con i pischelli, ripudiato la luce e trovato il folk, perso la voce e acceso l’elettricità, ha sparato versi meravigliosi e ingoiato sonore cantonate. Eppure ancora non ha trovato il suo cantore.
Raccolta la sfida, sedici autori si sono lanciati nell’impresa di restituire narrativamente un personaggio tanto ambiguo, prendendolo di petto o sfruttandolo come colonna sonora epocale e personale, ripudiandolo o ricamando sulle infinite suggestioni dylaniate.
Marco Rossari è nato a Milano nel1973. Editor, traduttore, ha pubblicato il romanzo Perso l’amore (non resta che bere) (Fernandel 2003), i racconti Invano veritas (e/o 2004) e le poesie L’amore in bocca (Fernandel 2007). Collabora col quotidiano “Il Riformista”.
ASSAGGIO DI LETTURA
CARLO FELTRINELLI
Ballate di fine secolo
Nell’estate del ’78 ero a Londra per alcune serate di Bob Dylan. Andavo a sentirlo per la prima volta dal vivo e avevo sedici anni. Con me c’erano due compagni di quarta ginnasio. Prima di raggiungere l’arena dell’Earls Court passavamo i pomeriggi a Hyde Park. Da allora non ho perso una puntata. Concerti, dischi, libri, luoghi, film: tutto quanto potessi ascoltare e conoscere dell’avventura artistica di Mr. D.
Un paio di settimane fa, era un venerdì pomeriggio, chiamano in casa editrice e domandano se volessi trovarmi a Londra alle ore 15 del giorno successivo. A intervistare Bob Dylan.
La suite al decimo piano del Metropolitan si affaccia proprio su Hyde Park, e diciannove anni dopo il mio primo viaggio londinese mi unisco al ristretto numero di corrispondenti europei che è lì per chiacchierare con lui. La circostanza si spiega con il lancio del suo 41° disco ufficiale, Time Out Of Mind.
Alla Sony, la casa discografica, stentano a crederci: da almeno dieci anni l’Artista diceva sempre no a incontri del genere.
Con l’Artista mi era già capitato di parlare altre volte, scampoli di frasi prima o dopo un concerto, da intrufolato nel back-stage, ma fare interviste è decisamente un’altra cosa. Non è lui la più ombrosa e idiosincratica delle rockstar? Non è lui il più alieno alle domande di coloro che intuiscono le cose senza sapere esattamente di cosa si stia parlando? Ecco che arriva. Blusa color crema, T-shirt, pantaloni neri, mocassini di coccodrillo. Non fuma, non beve, ma noi possiamo.
Dopo la grave infezione al cuore, diagnosticatagli nel maggio scorso, ora sta meglio: «Ho avuto una brutta battuta d’arresto, ma ora miglioro giorno dopo giorno.» E anche il lavoro non va male: Time Out Of Mind suscita unanimi consensi di pubblico e di critica (“Newsweek” gli ha dedicato una copertina dal titolo: Dylan vive), i suoi concerti tornano ad essere più affollati. Può darsi che il successo ottenuto dal figlio Jacob, due milioni di dischi venduti negli Usa con i Wallflowers, abbia indotto molti giovanissimi a verificare chi fosse quel misterioso padre.
Quando gli domandiamo della sua breve apparizione davanti al Papa, lui risponde semplicemente «great show, great show!». Lo dice sorridendo, come dire, sì, molto onorato, ma è stato giusto un altro show lungo la strada. Ma non è strano, trent’anni dopo essere stato un simbolo della controcultura giovanile, ritrovarsi a suonare davanti al Pontefice della Chiesa cattolica? Risposta che vira al nonsense: «Forse che a quei tempi c’era un altro Papa…?» E se qualcuno lo interroga sulla valenza politica delle sue canzoni risponde: «Se avessi voluto fare politica mi sarei iscritto a Harvard o Yale. Per la verità non so cosa sia la politica. Posso vedere ogni cosa da tre angolature differenti. Ci sono argomenti che mi vedono su posizioni che verrebbero definite conservatrici, e altri dove posso essere completamente dall’altra parte.»
Le canzoni possono ancora essere portatrici di messaggi che influenzano il mondo? La domanda non è mia, ma è il tipico quesito che si pensa di dover fare a Bob Dylan. Risposta: «No, a recapitare messaggi ci pensano i giornali, o la televisione. Sarà certo un atteggiamento passivo ma così va il mondo oggi. La gente va alle partite di calcio per vedere, mica per entrare in campo e giocare…»
INDICE
GIANLUCA MOROZZI
Come un cavatappi nel mio cuore
FRANCESCO SAVIO
Passi falsi
FRANCESCA BONAFINI
Another side of Bob Dylan (ascoltando un corvo nero, ti scrivo da Hibbing, in blu)
DANIELE BENATI
Long Vehicle Scania
GABRIELE DADATI
Robert Zimmerman, pittore
ANGELINA ROTOLO
Il diavolo alla porta
TEO LORINI
Sotterranea nostalgia
FIAMMETTA SCHARF
Fiammetta’s 115th dream
IVANO BARIANI
Convinto che Bob Dylan fosse una roba da sfigati
ALICE SUELLA
Il blues del cimitero
LIVIO ROMANO
Baby boomers
MARCO MISSIROLI
L’odore di due
ALESSANDRO CARRERA
Un uomo senza alibi
MARCO ROSSARI
Lost in Juarez
Un incubo ad aura condizionata
CARLO FELTRINELLI
Ballate di fine secolo
Rivisitare Dylan: viaggi di scrittura
di Alberto Sebastiani