Il nobile Von.
Progetto grafico di Roberto Gorla e Michela Barbiero
INCIPIT
come mi sia apparsa Venezia, che si raggiungeva in meno di un’ora di treno, negli anni della gioventù, spero di raccoglierne gli spunti e descriverli in queste letterine che avrei voluto mandarti anni fa. Sono state sostituite da qualche racconto a voce che credevo volasse via come tutte le cose che si dicono. Mi sono accorto invece che ti incuriosivano, forse ti interessavano, malgrado l’angolazione particolare (discutibile?) delle mie esperienze.
Tu sei uno dei tanti veneziani trasferiti in Terraferma; ma sento in te il pathos della distanza e così Venezia te la porti dietro come la sua casetta il gasteropode.
Spesso le lettere che si pubblicano sono finzioni e il destinatario un pretesto letterario. Tu invece sei un destinatario reale e le cose che racconto sono vere, almeno così credo. Raccontate come il mesto ronzio di un moscerino d’autunno che gira attorno al tuo tavolo sperando non ti infastidisca troppo. Tu gasteropode, io moscerino; come metafore zoologiche credo possano bastare.
Anche in queste lettere so di non essermi comportato con la dignità che la mia età esigerebbe. Ma tu mi hai fatto capire che la dignità sta sempre da un’altra parte e che io ho la libertà di ronzare attorno a te.
E se i miei calzari sono sempre impolverati, non ho intenzione di scuoterli.
Gammarth, costa africana, ottobre 2007
Il nobile Von.
All’inizio degli anni Quaranta si era trasferito da Berlino a Venezia. Suppongo per sfuggire a certe leggi naziste sul comportamento sessuale; ma Egon non vi ha mai fatto cenno.
Io lo conobbi all’inizio del Cinquanta. Di età indefinibile, i capelli tinti, alto, elegantemente dinoccolato, parlava muovendo le mani, ma non nel modo compulsivo degli italiani, bensì, con la sigaretta tra le dita, per guidare il discorso su un immaginario copione. Malgrado i vezzi da tanto tempo coltivati si rivelava sempre uomo intelligente e di buon senso. Abitava in calle della Vigna a Cannaregio in un appartamento di poche stanze col soffitto basso ma a farlo sembrare un cielo aperto attraversato dal volo di uccelli rari, c’erano i colori di Giandomenico Tiepolo. Una porta finestra si apriva su un giardino, un ampio prato verde tra quei muri screpolati. In un angolo appartato un tumulo con dei fiori, la tomba di Tobias, lo schnauzer nano morto di vecchiaia che Egon invocava nel ricordo. Omosessuale? Ça va sans dire. Ma come un relitto segnato da epoche scomparse, indegnamente sostituite da quella attuale. In cima al suo albero genealogico lo stemma di Tredicesimo Signore del Tirolo. Non ho mai voluto approfondire. Documentata invece in vecchi giornali tedeschi la sua giovinezza vissuta a Berlino come giovane attore nella compagnia di Max Reinhardt.
La famiglia in realtà si era stabilita a Trieste da antica data e un fratello amministrava quello che rimaneva del loro patrimonio. Con questi intrecci Egon rappresentava per me il fior fiore della Mitteleuropa.