Alda Merini, Come polvere o vento

11-12-2009

Meno estasi ed enfasi, più energia realista: ecco la Merini migliore, di Enzo Golino

Inclusa in antologie importanti, apprezzata da critici e da editori, iperpremiata ma sempre povera, Alda Merini – scomparsa il 1 novembre a Milano, dov’era nata nel 1931 –  ha certamente il suo piccolo posto nell’albo d’oro della poesia del secondo Novecento, fin dal precoce esordio. Una malattia mentale la costrinse a lunghe degenze in manicomio. Guido Ceronetti l’aveva definita “gitana dei navigli”, pronipote di Verlaine.
In una produzione fluviale e compulsiva, dettata dalla necessità di risarcire famelicamente quel “vuoto d’amore” che l’assediava, germogliano sterpaglie poetevoli, enfatici supplementi d’anima, banali estasi misticheggianti. L’energia poetica più vigorosa emana invece – non solo nel libro postumo – di versi dove il realismo più quotidiano evita la morbosità degli eccessi sublimi e viscerali, cifra istintiva e stilistica meriniana. Esemplari di quella energia, soprattutto le due sezioni che aprono la raccolta appena uscita di testi, quasi tutti inediti, scritti tra il 1984 e il 1988: Come polvere o vento. L’intesa di vita e scrittura modella immagini che appartengono al cono più autentico di una tumultuosa identità esistenziale sostenuta dalla poesia. Quella mia poesia, confessa Alda Merini, “come una gruccia / che tiene su uno scheletro tremante”.