Alessandro Trigona, Codice a barre

09-05-2008
Una vita scordata, di Luciano Pagano
 
Non c'è sensazione peggiore di quella che ci può cogliere quando non ricordiamo qualcosa. Non si parla qui dell'oblio, quella forma di dimenticanza indotta dal tempo, che ci permette di accantonare perfino gli episodi più brutti, conservando ferite che possono essere osservate con benevolenza e distacco. L'impossibilità di ricordare qualcosa nell'attimo in cui ci sarebbe utile è doppiamente amara, perché ci mette di fronte alla leggerezza e alla debolezza con cui abbiamo affrontato un'esperienza, come a dirci: se avessimo prestato più attenzione a quest'ora potremmo contare su un ricordo vivido. L’ “avere-presso-di-sé”, la categoria heideggeriana del “disporre”, sono divenuti imperativi dell'era contemporanea. Tuttavia, da Platone ai giorni nostri, nulla è cambiato, perfino il discepolo più fedele di Socrate faceva sostenere al suo maestro che la scrittura avrebbe sancito la fine della memoria come facoltà di apprendere e conservare. Cosa direbbe il filosofo di oggi di fronte a Google, che ci regala la possibilità dell'infinito disporre senza ricordare? 
Il divario tra formazione è informazione, nozione e nozionismo, nella corsa imprescindibile verso il “contenuto” si è trasformato in un abisso. Seguiamo allora l'esortazione di un altro filosofo, Friedrich Nietzsche, e scrutiamo dentro uno dei risvolti di questo abisso. Queste riflessioni sono utili a comprendere il clima di disagio e tensione che Alessandro Trigona - nato nel 1962 a Roma, dove vive - è riuscito a rendere sotto forma di marchingegno principe del suo romanzo “Codice a barre”, edito da Manni Editori. Un conto è dimenticare dove abbiamo lasciato le chiavi della macchina, e un altro è vivere facendo i conti in modo compulsivo con le tracce dei ricordi di un assassinio. Il protagonista di questo romanzo vive in uno stato di amnesia intermittente dal quale affiorano i frammenti di un delitto. Fin qui tutto bene, quasi rassicurante, il lettore non si aspetta altro che di seguire nel recupero della memoria gli indizi seminati dall'autore. Ed è proprio qui, a ledere l'autostima del lettore - anche del più presuntuoso - che entra in gioco il primo elemento perturbante, un vero e proprio cortocircuito che dalla mente del protagonista esce dalle pagine e diventa nostro: l'utilizzo reiterato di slogan pubblicitari distorti, ovvero ricalcati su quelli originali, con uno scarto linguistico che a ciunque darebbe fastidio, perfino a chi non è abituato a “sedute” di televisione. Ecco alcuni esempi presi a caso: “Un uomo di classe veste Texaco”, “Un paio di mutande Bostik”, “se al tuo partner puzza l'alito, cambia amante oppure usa Viakal: stura l'alito meglio di un lavandino intasato”. Alla citazione stravolta corrisponde l'emergere di un indizio in più circa la morte di Marcel Pred, deuteragonista assente in quanto assassinato prima che l'azione del romanzo cominci, un personaggio controverso, di certo un idolo delle masse, se è vero che al suo funerale accorrono cinquecentomila persone e l'evento è costellato da scene di isteria collettiva. È un romanzo, questo, in cui la follia insita nel mondo del consumismo viene descritta in un modo iperbolico, con lampi di verità che affiorano, come da un discorso folle “la gente si affatica a fare acquisti [...] a mettere le cose da parte per poi svegliarsi e rendersi conto di aver perso tutto. Pure se stessi”. Il mondo non esiste, il mondo è una proiezione esteriore del nostro cervello: è così che il mondo del protagonista comincia a cedere, per colpa di un'amnesia che se aggrava sempre di più. La giovane ventunenne con cui intrattiene una relazione clandestina, Théa, vive in una famiglia che non la può comprendere: il segno tangibile di questa impossibilità si traduce perfettamente nel personaggio della madre, un'anglosassone che non ha mai imparato l'italiano, nonostante i venticinque anni vissuti nel nostro paese, il che si traduce in espressioni dove l'inglese, l'italiano e lo spagnolo si mescolano in maniera incomprensibile. L'impossibilità di tradurre la realtà in un linguaggio uniforme diventa qui il segno tangibile della propria volontà di chiusura nei confronti del mondo, la soluzione più ovvia per una donna che non riesce a capire sua figlia; il padre della ragazza è invece ossessionato dalla descrizione minuziosa di ciò che accade alle sue familiari, moglie e figlia, al punto di annotare sempre i loro stati d'animo, i gesti, i discorsi, su un taccuino. L'ambiente entro cui si muove il protagonista è una città post-moderna, affollata di figure professionali, ma priva di persone e rapporti umani di senso compiuto. L'approccio minimo con il quale verrà affrontata l'amnesia dell’ “avvocato”, è quello della follia. L'amnesia del protagonista sembra essere il male minore di fronte allo sgretolamento dei suoi rapporti personali, se letta nell'ottica della follia collettiva che si impadronisce delle masse per via di un personaggio scomparso di recente “Marcel Pred”, del quale affiorano sfaccettature durante il corso del romanzo. L'amnesia diviene così l'accezione più sintomatica dello smarrimento, in un mondo nel quale ci viene richiesto (leggi: siamo obbligati) di essere sempre presenti a noi stessi. A ciò si aggiungerà la rovinosa relazione di coppia con la giovane Thèa, dalla quale il protagonista attende un figlio, che la ragazza deciderà di non tenere. Più la storia si avvicina alla conclusione è più il senso di follia si fa tangibile, passando attraverso stati narrativi che riescono a trasmettere un'euforia e uno smarrimento inconsueti. Alessandro Trigona Occhipinti, dal 2002, Segretario generale del Sindacato Nazionale Scrittori, ci ha regalato con il suo “Codice a barre” un esempio di romanzo in cui si potrebbe realizzare, grazie alla struttura narrativa utilizzata, un percorso inverso a quello che normalmente porta lo scrittore ad ispirarsi a pellicole cinematografiche, un romanzo di questo tipo, infatti, suggerisce modalità narrative che fanno 'avanzare' le mille possibilità di cui dispone il raccontare. La prova più difficile è stata quella di creare un personaggio delirante che è allo stesso tempo indagatore credibile in cerca delle cause della propria follia, con un finale del tutto inaspettato.