Claudio Giovanardi, Mamma ricordi

16-06-2013

Una letteratura di emozioni, tra narrativa, poesia, memoria, di Marco Cappadonia Mastrolorenzi

Il linguista Claudio Giovanardi ha pubblicato il suo primo romanzo, Mamma ricordi (Manni, pp. 166, € 15,00), la cui scrittura è organizzata come un linguaggio poetico: “prosa lirica” è forse l’espressione più adatta per caratterizzarne lo stile. Si tratta di una lingua ricca di elementi raffinati, in cui si inseriscono, non di rado, parole dell’uso quotidiano e confidenziale, fino a sfiorare una sorta di espressionismo. È proprio la scrittura a destare l’interesse del lettore e a fare da protagonista in una narrazione poetica priva di un intreccio classico. Attraverso l’écriture, di cui parlava il critico francese Roland Barthes nei suoi saggi semiotici, il narratore, in prima persona, si trova vis-à-vis con la madre, rievocando le immagini del passato mediante lunghe ondate di flash back e ritorni al presente.
Leggendo Mamma ricordi, ci si riconosce all’interno di un contesto lirico e onirico che trasporta il lettore in un mondo di ombre e giochi di luce. Tale effetto, ottenuto mediante l’uso di onomatopee e fonosimbolismi, di raffinate sinestesie e metafore e di contrasti cromatici, è consolidato da un’abbondanza di aggettivi, proposizioni ritmate e figure retoriche,tipica della migliore poesia novecentesca. L’autore dice: «Dirigo l’orchestra di tante parole [...] è un crosciare di sillabe, un incontro di rime fugaci». Un linguaggio, insomma, tutto immagini e musica, con molti verbi all’infinito e al gerundio, che trasfigurano la narrazione in rappresentazione onirica. Non di rado ci si imbatte in citazioni dantesche, per poi ritrovarsi in un concerto nel quale risuona la lirica del Novecento, dal linguaggio pregrammaticale di Giovanni Pascoli alle volute paradisiache di Gabriele D’Annunzio, passando dalle atmosfere crepuscolari a quelle futuriste, fino a richiamare gli ermetici. Non mancano, inoltre, echi di Umberto Saba, Guido Gozzano, Giuseppe Ungaretti ed Eugenio Montale.
La scrittura ha, in questo contesto, la funzione di richiamare il passato, per farlo rivivere in un’atmosfera da sogno, mediante la trasfigurazione del reale. Potremmo definire questo libro un romanzo in versi scritto in prosa, strutturato con una sintassi romanzesca, ma scomponibile metricamente. Il protagonista dialoga con la madre, con il padre, con lo zio visionario, con il nonno poeta, con il primo amore infantile, ripercorrendo la fanciullezza e la giovinezza in un continuo andirivieni di emozioni, ricordi, sogni e antichi affetti. In molti casi, la vita è fatta più di ciò che non è avvenuto che di quanto sia successo veramente: il “non accadere” è sovente affidato ai dettagli, quali uno sguardo perso, un gesto mancato, un’incomprensione. Attraverso la letteratura è, tuttavia, possibile recuperare tutto ciò, comprendendo quanto non si è inteso. Il reale letterario diventa, così, autonomo rispetto alla realtà di tutti i giorni, mentre l’arte si sostituisce alla vita che, per diversi motivi, non si è potuta vivere. In questo romanzo coesistono memoria e sogno, ombre e corpi fluttuanti, emozioni e sensazioni che tornano dal passato in una girandola ininterrotta di vita e letteratura.