Cosimo Argentina, L'umano sistema fognario

23-12-2015

Le avventure stilistiche di Argentina, di Angelo Mellone

Su tante cose non siamo d'accordo con Mario Desiati ma su una sì: Cosimo Argentina è uno degli scrittori migliori della narrativa italiana contemporanea. Ancora in pochi però se ne sono accorti. Argentina, pugliese trapiantato nel gelo umido della Brianza, ha per esempio scritto il romanzo più bello sull'epopea nera dell'acciaio a Taranto, Vicolo dell'acciaio (assieme a Cuore di cuoio meritatamente ristampato da Fandango), e un'elegia della crisi dell'uomo italiano in Maschio adulto solitario . Il suo problema, forse, è una scrittura che non cede alle mode del momento e non concede al lettore nessuna attenuante. Se servono le parole in dialetto, le usa. Se serve un frasario lunare per dare carne alle parole dei suoi personaggi, non si tira indietro. Prendete la sua ultima fatica, L'umano sistema fognario , appena uscito per un coraggioso editore leccese, Manni. Come sempre, o quasi, Cosimo torna nella sua Taranto, descritta come un cumulo di macerie morali e ambientali sotto cui, ogni tanto e solo ogni tanto, spunta qualche raggio di sole nella forma di una baia, di un tramonto, o della città vista da lontano dalle parti del faro. Il resto è una città derelitta e disperata che lascia spazio solo alla fantasia dello sconforto.
In questo quadro da deserto industriale e meridionalismo depresso si muove il protagonista, Emiliano, un ragazzo problematico con la fissa dell'heavy metal e di Adolf Hitler; tanto problematico che, quando la madre muore di una malattia terminale, la caccia a padellate in frigorifero per non perdere la sua pensione. Sin qui, siamo dalle parti di Pynchon. Ma la faccenda si complica perché Emiliano scopre finalmente l'identità del padre, una specie di musicomane con due figlie (sue sorellastre) che decide di arpionare per arrivare finalmente a lui, l'oggetto della sua vendetta di bambino non riconosciuto. La storia è gustosa perché mischia le strane pene d'amore di «Em» per Anansa, la figlia del suo principale, e la frequentazione di due tipo, un Benito guardacaso prototipo del fascista anni Sessanta, e Marcello, uno scoppiato fissato con il cinema d'autore. Il linguaggio che usa Argentina è la scaturigine e il pendant delle sue caratterizzazioni, una libertà lessicale che miscela cartoni animati e dialetto, soprannomi e metafore, in una scrittura che mette in bocca a «Em» e soci un italiano stralunato e, dunque, attualissimo. Fino al colpo di teatro finale. Che non è proprio la fine di una storia d'amore.