Franca Bellucci, Mare d'amare donne

30-03-2017

Una lettura, di Sophie Moreau


Il titolo evoca qualcosa che deve venire e che non è mai stato ma forse è nascosto in un tesoro da scoprire: al centro il Mediterraneo, padre padrone, anche se crogiuolo di scambi e di popoli, più spesso di conflitti. E’ un mare maschio dove le donne sono escluse da sempre e in perenne e dolorosa attesa. La forma è quella della poesia medioevale senza il rigore accademico, in un fluire di versi raccontati che attingono ora al mito, ora alla storia, ora alla cronaca per diventare testimonianza. Una scelta di grande attualità trattata come inattuale.
 
Il titolo annuncia insieme quel gusto un po’ antico della rima che viene però messa in discussione da un poetare in cui i versi diventano prosa d’un tratto. Lo stesso termine rapsodia rimanda agli aedi, ai poeti di corte, in qualche modo ai cantastorie se non ai griot, visto che l’Africa è il cuore di questo Mediterraneo ferito. Inoltre al centro del poetare di Franca Bellucci, toscana di Empoli dove è stata insegnante di greco e latino al Liceo classico, c’è il femminile come recita una parte del titolo in bilico tra il diventare sottotitolo e il mettersi al centro dell’opera. L’autrice d’altronde è impegnata nel sociale ed è una studiosa di storia con un’attenzione specifica alla poesia e alla storia delle donne. Sempre difficile un giudizio critico sulla poesia, mi limiterò solo a qualche spunto e suggestione per sottolineare l’approccio storico e ben referenziato dei versi e dei contenuti della raccolta, con la sua struttura articolata in capitoli a loro volta suddivisi in quadri che uniscono il modello del poema a quello narrativo anche nell’incedere del verso, con salti che talora spiazzano, concedendosi incursioni nella lirica antica anche per figure retoriche quali la sineddoche, là dove ad esempio di parla di “legni” al posto di imbarcazioni, ora diari filosofici che ricordano la letteratura medievale fino alla poesia moderna che attinge a piene mani all’attualità diventando talora una sorta di teatro giornalistico. Protagonista è il mare che conserva tradizionalmente la sua ambiguità di “Mare di Affacci oggi reso mercato di sguardi: di connivenze sempre, talora di organizzati soprusi.” Lo stesso mare Antico è un luogo di scambi, eppure palude, gorgo di naufragi, padre padrone, regno maschile e non madre amorevole. E’ la pianura liquida dove le donne sono sempre in penosa attesa, dove sono state vittime eppure nutrici come si rievoca nel culto di Demetra. Il racconto in versi dedicato alla storia del filosofo Pietro Abelardo e della giovane allieva e amante Eloisa nella prima metà del XII secolo, ci disegna – ancora una volta – nella delicatezza e candore di lei per la perdita dell’amato una storia nella quale il femminile è schiacciato dal potere maschile. In questo quadro desolante, ma di fronte al quale l’autrice non mostra rassegnazione, c’è un elemento trasversale al tempo e ai luoghi nonché alle diverse culture e religioni: la costanza anche nella mitologia del prevalere dell’elemento maschio, almeno dall’affermazione della cultura greca su quella cretese.