Gianfranco Fabbri, Stato di viglianza

20-03-2007

La vita in stato di vigilanza, di Nicola Vacca

L’opera poetica deve sempre essere in posizione di dialogo con la realtà. Il poeta ha il compito di spingere i suoi passi verso la cifra indiscutibile di una ricerca esistenziale, nel vero delle cose dove ha origine la parola. Dal vivo e originario soggiornare presso le cose nasce la curiosità della poesia che dà voce all’esistente per nominarlo nell’intelligenza del cosmo.
Prende posizione in tal senso Gianfranco Fabbri, poeta in perenne Stato di vigilanza. La parola del poeta si mischia insieme al mondo, è l’esposizione della libertà del senso e del senso della verità. In questi testi Fabbri conduce la parola verso quello che temiamo di più: chiamare le cose col nome delle cose. Con questa intuizione il poeta indica la necessità di un antipensiero che smaschera le espressioni dell’oscuro e del nascosto e legge tutte le ombre che abitano l’esistenza per potersi finalmente affacciare alla vera soglia dell’essere. Gianfranco Fabbri è un “minimalista metafisico” che cerca con la parola una chiave d’accesso all’opera dei giorni, e al potere che il quotidiano esercita sulla realtà delle cose.
La sua presa di posizione, nei confronti del venduto, è sempre netta. Il poeta dichiara a viso aperto di voler vivere nelle cose dove il livello di attenzione etica del suo Stato di vigilanza è alto. Si accede alla loro filosofia con la consapevolezza che tutto quello di cui abbiamo bisogno è alla radice dell’essere, e attende di essere rivelato. Nella poesia di Gianfranco Fabbri le parole escono come incidenti dalla bocca apparentemente soltanto per fermare sulla pagina le tracce, gli indizi e gli altri elementi da decifrare di un vissuto che scorre con i suoi frammenti presenti ma segreti. La realtà, qui, viene percepita come un dono sorprendente e non inatteso.
Perché quello che il poeta vede nella realtà delle cose, il lettore non riuscirà ad ignorarlo.
La poesia nomina ogni cosa. Così facendo assegna un destino alla parola poetica che scava in quell’abominevole colpa del vissuto con cui siamo quotidianamente costretti a fare i conti. Questa è la condizione riflessiva che lo stato di vigilanza di Gianfranco Fabbri propone per aver sempre cura della verità.