Gilberto Isella, Taglio di mondo

18-12-2007

La prefazione di Giorgio Luzzi

Lo spessore progettuale di questo nuovo libro di Gilberto Isella sembra dirigersi in modo compatto verso una implicita contestazione del canone. Contro l'attitudine, mai del tutto ammessa quanto diffusa, alla riconferma di un compito consolatorio della poesia (attitudine che ora, misurata su una presunta e mai dimostrata competitività mercantile del genere, si traduce in una generale caduta di complessità degli usi linguistici), il poeta luganese sembra inasprire appunto i caratteri di alterità di quello che in tempi non lontani poté essere un discorso affrancato e orgoglioso, con la sua essenza di luogo di custodia della contraddizione, dell'apertura di una parola contro, la cui pronuncia, qui opportunamente obliqua, è tanto più temuta quanto più il circuito ermeneutico nel quale viene immessa risulta particolarmente evoluto.

E poiché esiste anche una forma di beatitudine espressiva che lambisce i territori del negativo, qui viceversa il discorso si arma, e letteralmente confligge, contro quel senso comune che da molte parti si vorrebbe fosse il collante convenzionale e trasversale che unisce il male e il bene, il buono e il cattivo. In questo libro, viceversa, la tregua viene infranta e ciò accade proprio intervenendo sulla faccia interna delle procedure metodologiche della comunicazione poetica: si può denunciare il negativo esponendolo e dichiarandolo direttamente, come si può denunciare il negativo opponendogli una fitta barriera di controprove, nel nostro caso di spinte semantiche sostitutive. Per fare in modo che questo progetto abbia successo Isella ha deciso, in modo più che mai severo e compatto, di non dare asilo ad alcuna massa linguisticamente articolata che non sia portatrice di una contraddizione pubblica. Liberata dai propri confini emotivi, da quella seducente e peraltro fruttuosa zona franca di accoglienza di una tipologia del soggetto come obiettivo assoluto di conoscenza e di verità, la poesia diviene ora luogo di dibattito e di contraddizione di dati la cui posizione e scommessa viene d'ordinario affidata a quelle che continueremo a designare come scienze umane e sociali.

Senonché si sbaglierebbe a definire semplicemente “impegnati” i testi che compaiono in questo libro; la nozione di impegno, infatti, non esclude di per sé la astratta assunzione di un campo di buona volontà quando il conflitto, che è il motore della messa in condizione del soggetto agente e scrivente, non risulti tradotto, anzitutto, in oggetti linguistico-retorici stranianti, in forme insolite, e di per sé semanticamente attive, della disposizione della poetica del disagio. Esprimere il disagio nelle forme “agiate” della rendita di posizione semantica che è essa stessa alla base delle poetiche del consenso sarebbe parsa, a un autore dotato di una vigilanza critica e autocritica così notoriamente accesa, una imperdonabile contraddizione. E dunque si trattava di attivare tutta una scala di memorie formative e culturali che le pratiche europee dei linguaggi (parliamo, si badi bene, al plurale) hanno messo a disposizione di una coscienza economizzante e non distratta. Nel riflettere su quelle iselliane forme di disumanizzazione da incubo che sono le serie sinottiche di rappresentazione della coppia corpo/tecnologia come parametri presenti e attivi del dominio, non possiamo non accorgerci che la fase rappresentativa, appunto, rinvia a spazi della tradizione del Novecento che vanno dal cinema (il Lang di Metropolis tra i primi), a certo surrealismo in pittura magari combinato con espressionismi di gran marca: si va da tratti alla Tápies o Miró fino a certo espressionismo “surrealizzato” alla Tanguy o Ernst, però depurato della componente ludico-onirica, fino alla più probante poetica neofigurativa dell'alienazione e carcerazione dei corpi che può rinviare a Bacon e a Sutherland (“c'è il corniciaio all'angolo che prova la testa / nell'intelaiatura, a ciascuno / la sua forma, la sua prigione”); con le immancabili rivisitazioni contemporanee di questi modelli. Ed è appunto la indiziaria teatralità dei versi a legittimare l'eterogenesi dei riferimenti.

Il presente come grande ipermercato, e cioè, letteralmente, per quello che è e che non possiamo non ammettere che sia, costituisce per Isella - attento e aggiornatissimo indagatore di sociofilosofie nonché di antropologia - lo scenario sul quale queste forme di visionarietà vengono esercitate. Da qui il polilinguismo che domina nel libro, tra la brutalità di certa semantica desublimata in provocazioni espressive, a un clima macabro-allarmato e diffusamente sadico-aggressivo, allo schiacciamento, o avvilimento manovrato, della coppia Mito/Enigma, che sottrae ultimativamente i risultati di questo poeta pensante alla facile area mitomodernistica di oggi e che piuttosto ci introduce a una soglia di attenzione mai affievolita per il pensiero di Furio Jesi. Dunque il peso degli argomenti che il progetto mette in campo è cospicuo e l'impavido sgomento per l'universale Trash viene portato in primo piano in un progetto intenzionale di antipoesia come provocazione, stimolo, gravità dei realia , sperimentazioni lessicali, ingegneria dei dislivelli in una statica sghemba e un po' perversa (“l'alba ha il suo quartiere bronchiale / dove la poesia attinge rare gocce / per lei la musa palpita / su pendici di cucchiai / asciutta una palpebra / inventa scatti da provetto orologiaio”).

Certo, il grottesco impedisce di pensare a questo libro come a una semplice filiazione versica di memorie epocali (penso a Orwell, a Jünger, a Koestler, come primissimi nomi); ed è un grottesco entro il quale, però, prevale la rinuncia ad aderire totalmente al registro ludico della leggerezza caricaturale; effetti di questo tipo rimangono a livello di indizi (autenticamente espressi sono invece certi spazi di affettività e di idealità congiunte: penso tra gli altri ai versi, di singolare riuscita, destinati al pittore Valerio Righini) e mi sembra prevalere, viceversa, il progetto della disseminazione di occasioni di complicità ermeneutica autore/lettore, con sollecitazioni per verità non sempre facili da esaudire, e infine con indizi strategici di una sintomatologia del vento del significante come primato costantemente revocato dal peso oggettivo degli argomenti, dalla chiamata del destinatario a cooperare a un definitivo e severo principio di responsabilità. Ma questa non è un'ossessione: questo è appunto il reale, il mondo come è, che Isella ci fa balenare orrendo da questo sguincio che va a chiudersi, prima che la rimozione - frutto perverso pensato dal dominio mediante la sostituzione letea di immagini incessanti - torni (l'ammirato Paul Virilio ci insegna) ad avere la meglio