Giorgio Caproni, Amore, com'è ferito il secolo

02-04-2007

Tre donne, la guerra, i figli: vita quotidiana di Giorgio Caproni, poeta, di Pietro Spataro

Tre donne. Nel cerchio di tre donne si sviluppala vita affettivo-sentimentale di Giorgio Caproni: la prima fidanzata,morta prematuramente; la madre,che muore nel 1950; e la moglie, presenza costante e sicura. Quindi, due assenze e una presenza femminili indicano le tappe del viaggio umano e letterario di un grande poeta del Novecento. Alla moglie Rina («grillina» la chiama lui) sono dedicate numerose e belle poesie. Sono inedite, invece, e molto quotidiane e tenere le lettere pubblicate con un bellissimo titolo Amore, com’è ferito il secolo (Manni, pagine 109, Euro 12) introdotte da un bel saggio di Stefano Verdino. Si tratta di lettere di quotidiana sofferenza: la lontananza, la famiglia, la povertà, la solitudine, l’ansia per la figlia piccola. «Io faccio la vita aspra dei soldati veri,non imboscati negli uffici. Quando mi sentirò stanco penserò a te, al tuo sacrificio e ritroverò la mia forza». Quando scrive queste parole corre l’anno 1941, Giorgio Caproni ha 29 anni, è sposato, ha una figlia e si trova combattente sul fronte occidentale nel tempestoso buio della seconda guerra mondiale. Scrive alla moglie lontana e le parla del suo sacrificio: il sacrificio di una gravidanza dalla quale poi nascerà il secondo figlio,Mauro. Da queste lettere di ordinaria disperazione non emerge alcuno sguardo nuovo sul secolo terribile, non appaiono i lampi delle riflessioni che saranno il cuore della poesia di Caproni, quel suo raccontare semplicemente la condizione umana (attenzione a non farvi fuorviare, era però l’invito di Italo Calvino, dietro la semplicità di questi versi si nasconde qualcosa di molto più profondo). In queste lettere c’è la vita quotidiana. La difficile vita quotidiana durante la guerra e nel duro dopoguerra: la caserma e gli orrori della guerra, i soldi che mancano, i vestiti da cambiare, il cibo da comprare, l’aiuto economico da chiedere ai genitori. E il lancinante dolore per la lontananza e per l’impossibilità di essere vicino alla sua donna che accudisce una figlia («ricordati di vaccinare Silvana», è la sua preghiera) e ne porta in grembo un altro. Emerge da queste parole l’umanità forte di Caproni, il suo essere tenero marito e dolce padre. È commovente quel suo preoccuparsi dell’andamento della gravidanza, il modo con cui rimprovera Rina di non pensare a sé («comprati le calze elastiche, fatti consigliare da mia madre», scrive). Forse è un modo unico, nella storia della poesia, questo ansioso coinvolgimento, il sentirsi in qualche modo parte della fantastica impresa di dare la vita. Ma anche nelle quattro lettere scritte dalla moglie colpisce questo senso comune di reciproca preoccupazione: «Stai contento e mangia tanto, caro Grillo, e bevi poco», scrive dal mare al marito rimasto a Roma. Oppure: «La televisione guardala qualche volta, ti fa un po’ di compagnia». E i consigli pratici: «Porta le camicie in tintoria, ma stai attento che si prenda 150 lire a camicia, quella è tremenda». Fa capolino, tra le righe delle lettere di Caproni, il suo lavoro poetico, i contatti con gli altri scrittori (Libero Bigiaretti davanti a tutti), le letture. L’ansimante ricerca di una riconoscibilità letteraria. E anche qualche delusione: «Michele Prisco con un romanzetto di 150 pagine ha vinto un milione a Venezia, Bigiaretti 250 mila lire. E io, fesso a tradurre Proust per sentirmi dire: grazie, pagheremo presto!!! Sono un ciglione (per non dire un coglione)» scrive nel 1950 da Roma alla moglie in vacanza a Genova. Allo stesso modo fa commozione leggere più avanti: «Mi sono comprato un libro. 600 lire!!! Mi sgridi?». Questo epistolario, nella sua essenzialità di vita ordinaria, ci consegna l’immagine di un uomo che anche nel quotidiano (oltre che nella grande poesia che ci ha lasciato) trasmette la forza di combattere e di non arrendersi, nonostante la «disperazione calma senza sgomento» che mai lo abbandona. Viene in mente, leggendo le sue parole dal fronte o quelle da Roma alla moglie rimasta a Genova, quel verso della poesia Palingenesi nella raccolta Il franco cacciatore che dice: «Resteremo in pochi. / Raccatteremo le pietre / e ricominceremo».Oppure i bellissimi versi dedicati al figlio Mauro: «Portami con te lontano / ...lontano.../ nel tuo futuro». Perché, in fondo, la ricerca di Giorgio Caproni è tutta qui: nel duello tra passato e futuro. Nel rimpianto per qualcosa che non c’è più, nella speranza (spesso «disperata») di qualcosa che non c'è ancora.