Giorgio Morale, Acasadidio

09-01-2009
Prose buie, estratto, a cura di Francesco Marotta

11
     «Qui guardano tutti dall’alto in basso», dice Ombretta.
     E smadonna. Ma in fondo le va bene così.
     «Che non mi chiedano di più» sbraita. «Quello che sono disposta a fare, già lo faccio.»
     Ognuno per la sua strada, pensa Teresa. L’individualismo è legge, tanto nessuno controlla, lo Stato men che meno.  Gli uffici pubblici affogano nelle carte, così adesso c’è il via libera al collocamento privato. Basta affittare una stanza e chiamarla agenzia per l’impiego. Uno lavora allo sportello e riceve i curricula, uno sta al telefono e tiene i contatti con le aziende. All’utente si dice:
     «Se ti trovo il lavoro, il dieci per cento del primo anno è mio.»
     Oppure:
     «Finché lavori lì, mi dai il tre per cento.»
     E l’illegalità è consacrata.
     Alcuni giorni fa al Centro erano tutti in fibrillazione per una scadenza della Regione Lombardia. La Regione ha stanziato settantamila euro per l’ampliamento della Casa per ragazze madri. La prima tranche è stata erogata subito; per saldare la seconda occorreva dimostrare, dall’oggi al domani, lo stato di avanzamento dell’opera e documentare che i primi soldi erano stati destinati ai lavori.
     Ricevuto l’ultimatum, Martina ha diramato la notizia.
     «Occorrono fatture per tot mila euro.»
     La sua espressione si è propagata di faccia in faccia. Solo Ombretta ha proseguito il lavoro. E Ale ha detto che andava a comprare un panino e non si è visto per due ore. Prima l’agitazione ha disegnato traiettorie convulse, tutti a consultarsi con tutti. Poi Martina e il Presidente si sono ritirati a consiglio, lasciando gli altri in trepida attesa.  Nessuno telefonava, per lasciare le linee libere. Tutti a meditare sulle fatture.
     «La burocrazia ci assilla, la burocrazia ci uccide» strillava il Presidente.
     In realtà la burocrazia va bene anche a lui. Per intascare i finanziamenti l’accetta, non l’accetta nell’ora del rendiconto. Perché il Centro ha speso quei soldi per altro. Allora cosa fa il Presidente? Prima si attacca al telefono per sondare le possibilità di svicolare, dopo si mette a caccia di fatture, infine si accorda con la ditta costruttrice perché emetta fatture false. La ditta non fa niente per niente e chiede un di più rispetto al dovuto, che il Presidente paga con assegni postdatati. Quando arrivano i soldi della Regione, ognuno ha il suo guadagno.
     “La moltiplicazione dei pani e dei pesci”, pensa Teresa.
     Per il lavoro usano la stessa logica. Indirizzano i poveretti da famiglie facoltose del loro partito o da aziende della Bassa della loro congrega – per essere più forti si sono messi in una Compagnia che ha sbaragliato la concorrenza.  Così riforniscono i loro amici di manodopera a basso costo e per di più sono pagati dallo Stato perché trovano lavoro. Come se non bastasse, hanno il riconoscimento morale perché fanno del bene e li premiano con l’Ambrogino d’oro.
     Anche la Regione. Pubblicizza bandi e appalti tardi perché un comune mortale possa fruirne, e prima della scadenza convoca le associazioni amiche per decidere le parti.
     «Ci chiameranno quando è ora» il Presidente dice a Teresa.
     «Non stare a chiedere a destra e a manca.»
     Bisognerebbe sentire le segretarie, al Comune, in Regione – non c’è nulla di peggio del giudizio dei sottoposti: te la cantano tutta.
     «Mai visti amministratori come questi» dicono. «Sono tutti ignoranti. Quelli di prima potevi accusarli che in orario di lavoro leggevano il giornale, ma almeno si tenevano aggiornati. Questi non sanno nemmeno leggere, appena fanno le parole crociate. Li vedi vagare da un ufficio all’altro.
     “Dieci lettere: navigatore dello spazio. Comincia con la a.”
     Perdono finanziamenti su finanziamenti perché non sono buoni a stendere un progetto. Se ci fosse un controllo, se qualcuno andasse a spulciare negli incartamenti, non troverebbe una delibera a posto.
     “Abbiamo vinto” dicono. “Decidiamo noi.”»
     «Che dite?» fa Teresa. «Se li han messi lì, saran bravi in qualcosa.»
     «Certo» dicono. «Nel farsi le scarpe fra loro. Entro in un ufficio e li trovo a questionare. Su chi deve arraffare i biglietti per lo stadio o la Scala da spartire agli amici. Se stasera controllassi le biglietterie dei teatri, troveresti che lo stesso assessore assiste in contemporanea a quattro spettacoli e tre concerti, avendo distribuito ai suoi scagnozzi tutti gli inviti possibili. Se non litigano, stanno coi piedi sul tavolo a fare telefonate a sbafo. Tutto il giorno così.
     Una volta succedeva che un assessore ti dicesse: “A mia moglie piacerebbe vedere uno spettacolo alla Scala”, ma finiva lì. Dicendolo si faceva piccino piccino. Noi segretarie eravamo un filtro fra il cittadino e il palazzo. Ci chiamavano i giornalisti, cercavano notizie, anticipazioni, interviste. Adesso nessuno chiama più, se non per chiedere favori. Il colmo è Lupini: vuole sapere tutto di chi lo cerca, cosa vuole, eccetera.
     “Così” dice “se quello ottiene ciò che vuole, dico che sono stato io e gli chiedo qualcosa in cambio”.
     Allora mi viene un conato di vomito e vorrei urlare:
     “Riabilitate i socialisti! Ridatemi Bettino!”»
 
12
     Per i primi mesi in Italia, silenzio. Poi Anila ha chiamato la madre.
     «Tutto bene. Ho una bella casa, un buon lavoro.»
     Mandava ogni mese dei soldi, aveva mandato una foto col fidanzato.
     «Non mi fa mancare niente: vestiti, trucchi, parrucchiere, ristorante.»
     In genere la ragazza viene contattata in Albania da un “fidanzato”, a volte un cugino o un lontano parente. Essa è appena adolescente e sta vivendo il suo distacco dai familiari. L’aggancio è in un bar, una discoteca, una piazza o una casa privata. Magari durante una festa. Il “fidanzato” promette alla ragazza di sposarla. Prima però è necessario un viaggio in Italia: un paio d’anni di lavoro ben pagato per farsi una posizione e mettere su casa. La famiglia è consenziente, finge di non sapere.
     In Italia il “fidanzato” gestisce due o tre donne, spesso insieme a uno o due parenti. Un giro piccolo, agile, ben controllabile. Alla ragazza vengono ritirati i documenti, per limitare la sua autonomia; se necessario si ricorre alla violenza per fiaccarne la resistenza. La formazione è rapida ed essenziale: preservativo, rischi, adescamento. Viene fissato un tetto per il guadagno: il minimo per notte. A una ragazza viene affidata la contabilità, per renderla complice. O fugge nel primo anno o non fugge più, a meno che non lo faccia per gelosia.
     Alla famiglia viene inviata una percentuale dei guadagni e la foto col “fidanzato” da esibire ai vicini. È pro forma, perché tutti sanno tutto. Se una ragazza si sottrae, non può tornare al paese, non viene più accolta dalla famiglia: sarebbe un disonore. Rischia di essere uccisa.
     Quello che mi stupisce è che File sia venuta per Anila. Che una madre venga a prendersi, morto, il figlio protettore, succede, ma con le ragazze no. Non so le statistiche, ma gli obitori sono pieni di ragazze che nessuno reclama.
 
25
     Non ci fossero gli uccelli a cantare, si direbbe che è pieno inverno.
     «Io e te siamo i diseredati di turno» dice Teresa a Ico. «Tra poco ci faranno sloggiare.»
     Ancora stamane Martina fa a Teresa:
     «Quella tua protetta, quella File perché non ritorna in Albania?»
     «Perché? Collabora con la giustizia.»
     «Cosa vuoi che collabori? Sono tutte dello stesso giro.»
     Poi viene al punto.
     «Non sei un buon esempio per le nostre donne.»
     Non perde un’occasione per rimarcarlo.
     «Perché, non scopano anche loro?» le fa Teresa.
     E lei:
     «C’è ben altro da fare nella vita.»
     E Teresa:
     «Della mia vita faccio ciò che mi pare.»
     Non l’avesse mai detto. Martina è andata su tutte le furie.
     «Parla con rispetto di ciò che non ti appartiene.»
     «Tu parla per te» le ha detto Teresa.
     Ha dato a Martina ciò che doveva darle e se n’è andata di là.
     Per quanto riguarda Ico, non capiscono la sua “dubbia virilità” – dicono loro. Non capiscono perché non ci provi con le straniere. Dario tempo fa stazionava lì dove sono in attesa e ci provava con tutte. Passava in rassegna, ispezionava. Cominciava con una domanda, una carezza, prometteva favori e qualcuna che ci stesse la trovava.  Facevano sesso in uno sgabuzzino. Si sapeva, eccome! Gli facevano la predica e tutto come prima. Quello, al contrario di Ico, ha odorato che vento tira. Innanzitutto si dice cattolico; e poi rientra nello stereotipo del maschio cacciatore.  Ico invece è gentile, non se ne approfitta, usa rispetto. Questo non lo capiscono, non rientra nei loro binari. L’uomo deve essere peccatore, per poter meritare il perdono. Se no, perché Dio ci ha dato i sacramenti?
     «Martina mi mozza il fiato» dice Teresa a Ico. «Ammorba l’aria che respiro, mi mette una cappa di piombo addosso che non mi molla più.»
     Se Teresa parla con i volontari e Martina la sente ridere, interviene a dire che c’è da lavorare, che ci sono persone in attesa. Persino i volontari dicono che Martina sì, a volte propone gli scherzi: per far capire chi ha il potere: anche quello di comandare una risata.
     «Io non li sopporto più» dice Teresa. «Sono come bambini autistici, contenti di stare appiccicati l’uno all’altro, chiusi a chi non è della loro parte. A Martina manca la giusta accordatura sulla frequenza del cuore umano. Confonde l’aggressività con la cattiveria, il servilismo con la gentilezza. Guarda Ilio, come sa anticipare i suoi desideri: aprire una porta, portare un caffè, dirle ciò che desidera. Per lei una persona gentile è sincera sempre. Se le dai la tua opinione, si offende. Lesa maestà. Oltraggio.»