Giovanni Bernardini, Nel mistero del tempo

01-12-2005

Cantando l'esistere la nostalgia del mondo sognato, di Serena Mauro


Sogni illusioni, ricordi e speranze, foto ingiallite, amici scomparsi, momenti custoditi gelosamente nella memoria, bilanci di una vita trascorsa… “si perde così / nel mistero del tempo / l’umana esistenza”. La poesia di Giovanni Bernardini scivola leggera, fluisce veloce come il tempo. Pagina dopo pagina, pensieri, riflessioni, la nostalgia che attanaglia il cuore, l’amara consapevolezza di chi non è abituato a celare le cose dietro veli. Nel suo ultimo lavoro, Nel mistero del tempo, si ritrovano i valori che hanno accompagnato un percorso lungo una vita, affidati ai lettori. In un testamento spirituale, in un bilancio dell’esistenza trascorsa, nella quale la letteratura è stata compagna, a volte arma di denuncia, a volte porto in cui cercare quiete. Giovanni Bernardini è stato testimone e protagonista della letteratura salentina della seconda metà del Novecento. Tornano alla mente i lavori che lo hanno reso celebre, Il profumo dei gelsomini, o Compare Brigante, quando la neve era “il simbolo di un’illusione, scomparsa la quale, rimane la lenta macina del tempo” (D. Valli).
E ora, nelle sue poesie, nessu’ombra, anche i morti hanno corpo. Li vedi, “gravi ti si affollano davanti agli occhi”. E i pensieri hanno corpo. Ma proprio come il tempo la poesia di Bernardini, mentre scorre veloce, nella sua illusoria e apparente leggerezza, lascia un segno indelebile, scalfisce, si insinua in profondità.
“Altra morte credo non vi sia / Se non il faticoso sgretolio dei giorni / Vanamente attendendo un suo segnale / Che ancora la favola ridica / Di notti bianche vissute da lontano / E doni che risalgono un cammino / A tutti ignoto cavalcando gl’ippogrifi Del sogno violazzurri / Fiammeggianti papaveri soltanto / Balenano agli occhi / In dissolvenza di rosse primavere.
Forse è ai morti che parla, o forse l’autore dialoga con se stesso, ma all’improvviso ci si rende conto di essere stati rapiti. Ed è il peso, “mistero del tempo”, la percezione, che si fa via via più tangibile che “nella cruna del tempo / è già passata la vita / la parte migliore. / Basta un simulacro d’amore / per sopravvivere a se stessi?”
All’improvviso si avverte il peso del tempo, degli anni trascorsi portando con sé la vita. E la poesia diventa canto ed elegia. Moriamo ogni giorno, e il mistero del tempo è l’inevitabile scissione di due termini opposti e simbiotici. Cantare la vita non può che significare cantare la morte, e cantando la morte non si può non cantare l’esistere.
“Il cuore di amleto qui dentro l’hai; malato di dubbi / e d’incertezze, t’aggiri in grigi labirinti a scoprire / l’assurdo che è nel mondo, l’assurdo della vita e della morte” e riaffiora lo spirito combattivo di Bernardini, che con il cuore di Amleto nel petto, ha lottato per i suoi ideali, per le sue utopie, forse. Consapevole ormai della lontananza della realtà da quella che, da sempre è stata la sua idea di società, non riesce a rassegnarsi, e continua a parlare di quello che avrebbe voluto, lo sguardo rivolto al futuro, alla fine, il cuore ancora teso verso le idee giovanili.
“Me ne andrò così, tristemente / ma privo di rimpianti / per questo mondo / nostalgico però / di quello un tempo sognato / che credevamo d’edificare / sull’uguaglianza, sulla giustizia / sulla libertà e la pace”. Ed è così che, rapiti dai versi di Bernardini, trasportati dalle sue parole, nella spirale del tempo si colgono bagliori del mistero della vita.