Giovanni De Rose, Negli occhi di chi guarda

27-05-2008

McCarthy e Conrad nel romanzo di De Rose, di Sergio Rotino

In chiusura di Negli occhi di chi guarda, Giovanni De Rose cita Cormac McCarthy. Lo fa per spiegare da dove abbia preso l’idea dell’aquila reale trafitta dalle spine di un cactus saguaro, nel pieno deserto di Sonora, uno dei tanti luoghi in cui è ambientato questo corposo romanzo d’esordio. Questo lascerebbe presupporre un legame diretto fra lo scrittore texano e l’ispirazione della storia – e delle storie – sviluppata nelle oltre duecento pagine di questo romanzo, che lo stesso autore presenterà insieme a a Roberto Grandi oggi alle ore 21 presso il circolo Arci “Bertold Brecht” di via Bentini 20 a Bologna. In realtà, anche dove alcune punte narrative potrebbero far pensare altrimenti, come nell’episodio posto quasi in apertura che descrive seccamente il morso rabbioso, primitivo, con susseguente distacco del mignolo operato da Cicchina ai danni della zingara che le aveva sottratto l’asina Isabella (“L’addentò selvaggiamente, e come una belva affondò i denti nella carne della mano con cui la zingara reggeva le redini”), McCarty c’entra poco o nulla. Involontariamente o meno, De Rose sembra invece pescare da certa narrativa latinoamericana, almeno per le atmosfere e per certo gusto nell’inserire un accento “ironico” in alcuni passaggi narrativi. E per accreditare questa tesi, basta andare a leggere l’episodio struggente dell’amore fra le statue lignee di due santi minori. Ma è solo un aspetto del romanzo, che si offre a molte altre interpretazioni. In effetti il percorso compiuto dal protagonista principale, il guardiano di pecore Iennaro, dal paesino calabrese di Spinacaggia fin dentro le viscere degli Stati Uniti e da lì indietro al punto di partenza, tutto concentrato nell’arco di circa un decennio, sembra rientrare nella grande casa dei romanzi di formazione, almeno dal Conrad di Linea d’ombra. Continuando a trovare assonanze, è proprio da Conrad che il quarantatreenne narratore di origine calabra, ma da sempre attivo su Bologna, trae l’elemento stilistico più forte: l’uso della narrazione cornice. La voce narrante di Iennaro è il mezzo necessario per dare voce agli altri personaggi della storia, per fare sì che vivano di vita propria all’interno del racconto di chi li ha conosciuti, amati, rispettati. Un espediente che consente a De Rose di creare la metafora perfetta di un passato che racconta il nostro presente. È attraverso questa metafora che, per fare un esempio, lo sciopero dei minatori nel distretto di Bisbee, il suo essere represso con la forza, con l’assassinio dei suoi capi, con il pervertimento delle loro motivazioni attraverso una stampa asservita, quello sciopero conclusosi con la deportazione nel deserto di oltre mille lavoratori, riverbera una realtà a noi estremamente vicina dentro cui ci muoviamo indifferenti e ignoranti. È quando indica il lavoro dei rappresentanti sindacali, quando sottolinea come l’arroganza padronale vada sempre di pari passo con una visione proterva, con l’asservimento della legge e dell’informazione ai propri fini che Negli occhi di chi guarda si fa romanzo contemporaneo, vicinissimo a noi  e non agli anni rivissuti da un ottuagenario Iennaro la sera di un 10 agosto, davanti al mare di Calabria. È allora che la sua picaresca avventura da emigrante, il suo trascorrerla attraversando dal 1909 al 1918 degli Stati Uniti ancora in fasce, il fatto che finalmente conosca se stesso e si faccia uomo attraverso la gioia e il dolore, nell’amore con un altro uomo, diviene opera-mondo proiettata oltre il puro racconto, capace di parlare al lettore, di farlo entrare veramente negli occhi di chi guarda.