Grano o grane

08-02-2006

Il grano e il loglio…
Prefazione di Mario Capanna


La richiesta di produrre su vasta scala e di commercializzare frumento transgenico, presentata dall’azienda Monsanto in Canada e negli Stati Uniti, ha segnato uno spartiacque decisivo nel settore delle biotecnologie alimentari e, più in generale, nel campo delle manipolazioni genetiche.
Si passa da un orizzonte tecnico-scientifico che appariva fino ad ora lontano, definibile in modo circoscritto e settoriale, ad un altro più vicino, più prossimo a quella forma di esistenza che ogni giorno decliniamo come “quotidiano”.
Le biotecnologie alimentari e, in particolare, oggi, quella applicata al grano, esprimono in senso molto preciso la simbiosi fra i termini “tecnologia” e “vita”, con tutto il ventaglio di implicazioni che tale legame comporta.
Le precedenti colture GM non ci avevano ancora dato appieno questo senso di “prossimità”: soia, mais, colza sono destinati per lo più al consumo animale, e comunque rappresentano un fattore identitario, dal punto di vista alimentare e culturale, piuttosto limitato.
Non è così per il grano. Esso non è solo uno dei tanti vegetali che nel corso dei millenni hanno contribuito alla nostra sopravvivenza fisica, soprattutto nell’area mediterranea.
Dai primordi delle civiltà il grano è stato lavorato e trasformato, è diventato “pane”, uno degli alimenti-simbolo più importanti della nostra identità storico-geografica: dal mito della “dea bionda” Cerere, fino all’eucarestia cristiana, è stato ritualizzato, sacralizzato, “culturalmente manipolato”, fino a diventare, esso stesso, cultura.
Ancora oggi, parafrasando il titolo di un libro di Miguel Angel Asturias, si deve dire che siamo “uomini e donne di grano”, fruitori quotidiani di quel cosiddetto Fattore P (pane, pasta, pizza, pasticceria), per cui ogni giorno utilizziamo l’alimento grano e il valore simbolico-culturale profondo che esso rappresenta ed esprime.
Fruitori, dicevamo. E persino l’etimologia ci svela le radici lontane di quanto veniamo affermando.
 La parola “frumento”, da frumentum, rimanda al verbo fruor, che, oltre a “fruire”, indica anche “godere”, “trovare soddisfazione” e “trovare piacere”.
Quel prezioso chicco, sfamandoci e nutrendoci, per migliaia di anni ci ha dato e ci dà la soddisfazione e la gioia dell’alimentazione. A tal punto che in latino e nella nostra lingua –a riprova di quanto il nostro inconscio collettivo è influenzato così profondamente da quel bene essenziale– abbiamo coniato ben due diverse parole per indicarlo.
 Oltre a frumento, “grano”. Granum ha la stessa radice di grandis (grande) e rinvia al verbo grandio: “fare sviluppare”, “crescere”.
Convergenza semantica straordinaria. Dagli albori della nostra civiltà il grano –il frumento– è l’alimento base che permette il nostro sviluppo, che ci fa “crescere” e, perciò, ci permette di “trovare soddisfazione e piacere”.
Non si tratta di sottigliezze letterarie. Al contrario: chiunque sottovaluti il legame inscindibile dei rapporti fra alimentazione e cultura, fra l’una e l’altra e gli stili di vita che ne risultano, commetterebbe un errore deleterio. Cancellare l’identità millenaria, che il grano ha contribuito a costruire, ci renderebbe come alberi dalle radici tagliate.
Il possibile arrivo del frumento GM rappresenta dunque una sfida completamente nuova, lanciata direttamente ai consumatori e, insieme, al sistema imprenditoriale e istituzionale legato al mondo del grano.
Una sfida che apre una dinamica di relazione diversa, e fino ad ora sconosciuta, tra consumatori e transgenia, fra agricoltori, imprenditori e trasformatori del grano e materia prima GM.
Una sfida multiforme: riguarda tutti e tutto, dall’ambiente naturale al mondo agricolo, dal cibo alla sua distribuzione e al suo commercio, dall’alimentazione alla cultura, dall’economia alla finanza.
Una sfida, perciò, che va raccolta in tutta la sua portata.
Quale potrebbe essere l’impatto del frumento transgenico su questo universo di implicazioni, che arrivano a coinvolgere persino simboli e sapori?
Quale il costo del sistema Italia –e di quello europeo– per mantenere la propria identità alimentare e culturale?
Il Progetto Grano o grane è nato per rispondere a questi interrogativi. E ha preso avvio, ben prima che si realizzasse il fatto compiuto, seguendo il principio di quell’antico pensatore che diceva: “Il saggio deve prevedere e non pentirsi”.
Il Progetto è sorto per avviare un dialogo fra tutte le categorie interessate, fra scienza e società, e per dare vita anche ad un confronto fra i mercati transoceanici di Italia, d’Europa e Nordamerica.
Nell’America del Nord le inquietudini stanno crescendo. La questione del frumento transgenico suscita diffuse preoccupazioni, di varia natura e, fra le prime, c’è quella relativa alla difficoltà di commercializzazione del prodotto in loco e, soprattutto, nell’area europea e mediterranea, ovvero nel cuore della “civiltà del grano”.
In Canada il subbuglio si sta allargando, proprio a partire dagli agricoltori, e si sta estendendo a quelli statunitensi. Ne è esempio l’importante messaggio inviatoci, in occasione della presentazione pubblica del Progetto, dalla Commissione canadese del grano, la potente agenzia che presiede all’esportazione del frumento canadese, nella quale un ruolo di primo piano è giocato dalle organizzazioni agricole di quel paese.
Il Progetto Grano o grane ha preso l’avvio sotto i migliori auspici: presenti e partecipi i maggiori operatori nazionali della filiera del frumento, insieme a grandi forze sociali e associative. La partita, dunque, è –resta– completamente aperta.
Grano o grane, dopo un accurato lavoro preparatorio, sì è sviluppato come progetto aperto: chiunque ha voluto coinvolgersi in questa battaglia strategica, con onestà e impegno, è stato il benvenuto.
Il Consiglio dei Diritti Genetici ha fornito tutto il suo supporto culturale, scientifico e tecnico di istituzione indipendente, che ha lo scopo primario di offrire ai cittadini, agli operatori, alle istituzioni a tutti i livelli, un’informazione rigorosa e veritiera circa le implicazioni in ogni campo degli Ogm e, in questo caso specifico, del grano GM.
Si è fatto un lungo percorso. Senza alcuna demonizzazione, ma con il rigore di analisi scientifiche, culturali, tecniche ed economiche, si è valutato quale delle due strade scegliere: se quella del frumento transgenico o quella del grano Ogm-free.
La prima strada –quella del grano GM– per un paese come l’Italia, che vanta una miriade di prodotti di qualità derivanti dal frumento, famosi da noi e nel mondo, determinerebbe danni irreggibili, non soltanto sul piano della specificità e originalità alimentare, ma anche su quello del portafoglio agricolo e di tutta la filiera della trasformazione.
È stato perciò un bene muoverci per tempo e con lungimiranza.
In questa impresa l’Italia –in ragione del suo peso culturale, politico ed economico– ha svolto, e può continuare a svolgere, una funzione d’avanguardia sia rispetto all’Europa sia nel bacino mediterraneo sia nel dialogo interoccidentale fra Europa e Nordamerica, come in quello fra Europa e l’Est, il Medioriente e l’Africa; non a caso siamo stati invitati in Algeria e Giordania a illustrare la sfida in corso sul frumento transgenico.
Il “mondo del grano” è ormai in movimento, in tutte le sue componenti. Il Parlamento, il governo –e le Regioni, per quanto di loro competenza– sono chiamati a dare un segnale netto e conseguente.


 Un libro come questo non c’è mai stato. Contiene la storia del grano nell’evoluzione della civiltà umana, analizza con precisione i rischi della sua trasformazione biotecnologica e svela gli immensi interessi che vi stanno dietro. Un vademecum per capire. Per decidere consapevolmente il presente e il futuro della nostra alimentazione, e della nostra salute.
Il libro, inoltre, mostra le possibilità di nuove forme di governance di fronte alla sfida inedita che le bioingegnerie pongono all’umanità: i soggetti (sociali, culturali, scientifici, economici, ecc.) interessati si aggregano, approfondiscono e dicono con competenza la loro parola, e assumono l’onere democratico delle decisioni, la responsabilità delle scelte, alternativa alla passività della delega. Una lezione al sonno della politica?
La lotta intrapresa e il largo schieramento che si è costituito non sono stati certo estranei alla decisione, che la Monsanto si è vista indotta a prendere (per la prima volta!), di rinunciare alla manipolazione genetica del frumento.
Bisognerà stare all’erta, nel caso qualcuno ci provi ancora.
Vogliamo Grano, non Grane. Perciò dobbiamo continuare a distinguere avvedutamente tra il grano e il loglio…