La parola scritta e pronunciata

01-06-2007
L’impatto della realtà, di Marco Beretta
 
Nel 2001, in occasione di un’intervista, lo scrittore siciliano Vincenzo Consolo si soffermava sul suo primo romanzo, La ferita dell’aprile (1963) e sul concetto di «potere della scrittura» che ne è alla base. In quanto detentore di un potere, all’intellettuale del nostro tempo è assegnato un dovere che, per Consolo, è «quello di essere partecipe a quelli che sono i destini di infelicità dell’uomo, che risiedono nelle zone di marginalità della società, nelle classi meno privilegiate, meno abbienti, e quindi bisogna capire quali sono le condizioni di questi emarginati e perché questi emarginati in certi momenti tragici arrivano a dei gesti estremi. Cercare di capire quali sono i motivi che li spingono a tanto, loro che non hanno il potere della scrittura, perché la storia è una scrittura continua dei privilegiati, la storia la scrivono sempre quelli che vincono». Una riflessione, questa, ripresa in un recente incontro organizzato dal Collegio Nuovo di Pavia per presentare il libro La parola scritta e pronunciata (una raccolta di saggi di autori vari sulla scrittura di Consolo, edita da Manni), presenti, oltre a Consolo, il filologo Cesare Segre e Giuliana Adamo, curatrice del libro e italianista del Trinity College di Dublino. Per Segre nella scrittura di Consolo il côté espressionista di matrice barocca convive con una sostanza fatta di impegno umano e civile. Una diade non contrastava che anche Giulio Ferroni, in prefazione, mette giustamente in luce, laddove assegna all’autore una piena coscienza «del senso della propria opera, così impegnato nel chiedere alla scrittura una domanda/risposta essenziale al mondo che essa si trova davanti, nell’aspirare a una lingua che sappia scavare la realtà, sfidare la sua sostanza fisica, la sua evidenza visiva, la materia pullulante che la costituisce». Fare i conti con la memoria e con le minacce che, nel nostro mondo, gravano su di essa: questo l’impegno civile che Consolo ricerca in una prosa di romanzo che si esprime in «forma poetica»; come a dire che è alla poesia (ancora una volta) e alla prosa poetica che si affida una possibilità di salvezza dalle derive del nostro tempo, assente il romanzo. Non mancano, per Consolo, né una buona saggistica né un’ottima scrittura giornalistica (Barbagallo, Saviano per fare un paio di nomi); ma cronaca non è romanzo, nel cui ambito l’impegno civile latita. Quanto affermato da Consolo conferma alcune mie ipotesi, ossia che è nel campo della poesia (e della prosa di ricerca) che vanno rintracciate le forme di un rinnovato impegno civile in letteratura; così, voci nuove e “vecchie” del nostro mondo culturale optano per un rinnovato scandaglio nel reale, nelle emergenze della politica e della società, ricorrendo a una lingua volta a rendere la forza delle cose, dei fatti, dei volti e con essi il “sangue” e il senso del presente.