Langiu-Portaluri, Di fabbrica si muore

27-06-2008

Nicola, che morì avvelenato dal lavoro, di Graziano Graziani

Nicola Lovecchio, operaio dell’Enichem di Manfredonia. Nel 1971 viene assunto nello stabilimento dell’Enichem, come tanti ragazzi del posto. A quel tempo Nicola ha 24 anni e certo non immagina l’impatto del petrolchimico sull’ambiente, sui comuni di Manfredonia, Monte Sant’Angelo e Mattinata, e sulla vita della gente che ci vive. Per lui, come per tanti altri ragazzi, il nuovo impianto catapultato in Puglia dall’alto dei palazzi del governo di Roma rappresenta la possibilità di una vita diversa, di un lavoro stabile, di un salario.
È la politica di industrializzazione forzata del Sud degli anni Sessanta, quando si pensava che lo sviluppo e il progresso fossero la soluzione per tutti i mali. Non che, a quasi 50 anni di distanza, i programmi di Berlusconi e Veltroni abbiano proposto qualcosa di diverso. La storia di Nicola Lovecchio, operaio e padre di famiglia, cambia improvvisamente nel 1994 quando gli viene diagnosticato un tumore al polmone, a lui che neanche fuma. Anziché chiudersi in se stesso per affrontare il calvario, Lovecchio trova nella malattia la forza per lottare.
Assieme a Maurizio Portaluri, un medico, ricostruisce gli effetti disastrosi che l’esposizione alle sostanze tossiche usate dall’Enichem per migliorare le prestazioni del fertilizzante che commercializza ha avuto sulla salute degli operai.
«Non posso stare seduto ad aspettare che questa malattia mi consumi del tutto e senza aver fatto nulla per riacquistare la mia dignità di uomo», scrive Nicola Lovecchio in una lettera destinata a un convegno di Medicina democratica a cui è invitato: non può partecipare a causa delle sue condizioni di salute. È il gennaio del 1997. tre mesi dopo Nicola Lovecchio muore.
La storia di Nicola è stata ricostruita dal narratore tarantino Alessandro Langiu, che nel suo Anagrafe Lovecchio [lo spettacolo che ha debuttato la scorsa estate proprio a Monte Sant’Angelo] dà voce alla battaglia di un uomo che, da personale, diventa di portata generale e collettiva. Voce tra le più interessanti del panorama della narrazione teatrale, Langiu ha già raccontato gli effetti devastanti dello sviluppo nel Sud, portando in scena due spettacoli che raccontano le acciaierie dell’Ilva di Taranto, la sua città, e di chi ci ha vissuto attorno e dentro.
Alla base del lavoro di Langiu c’è un doppio passo che proietta i suoi spettacoli oltre la narrazione. Da un lato, le approfondite ricerche che Langiu compie prima di scrivere i suoi testi gli permettono di basarsi su un materiale vivo e ricchissimo; dall’altro, la dimensione letteraria dei suoi testi li proietta fuori dalla retorica della denuncia che il teatro sociale rischia costantemente.
Di fabbrica si muore recupera la dimensione letteraria del racconto di Langiu. Il volume, oltre al suo testo, raccoglie anche la ricostruzione degli avvenimenti fatta da Maurizio Portaluri, il medico che aiutò Lovecchio nella sua indagine. Un accostamento di memorie, documenti, lettere con l’elaborazione artistica, che restituisce il senso della vicenda di un uomo e ci ricorda come, dietro i grandi eventi della storia, ci sia la vita delle persone. «Nicola Lovecchio muore a causa del tumore polmonare – scrive Portaluri – Oggi sappiamo […] che la medicina e la scienza non sono neutrali ma possono essere a servizio di differenti e contrastanti interessi. Il coraggio di Lovecchio e la socializzazione che egli decise di fare della sua malattia ci permettono oggi di raccontare una storia che altrimenti sarebbe stata dimenticata o, meglio, dispersa».