Luigi Longo, Da Atene a Gerusalemme

15-11-2007

Uno dei più suggestivi filosofi del novecento (e forse poco conosciuto) è Emmanuel Levinas. Circa un paio di mesi fa è uscito, per Manni Editori, un testo di Luigi Longo, che si presenta come una buona introduzione al pensiero del filosofo di Kaunas. Il testo si intitola “Da Atene a Gerusalemme” e, per chi fosse invogliato alla lettura, è ordinabile on line sul sito della casa editrice.

Ovviamente il percorso di lettura proposto segue una linea ben precisa, forse non l’unica possibile, ma sicuramente una delle più interessanti, e precisamente il ripercorrere le principali acquisizioni teoriche di Levinas nella loro radice ebraica. Senza fraintendimenti, però: innanzitutto perché in Levinas sembrano essere inscindibili la dimensione tipicamente filosofica, ancorata alla tradizione razionalistica occidentale (basta ricordare gli importanti rapporti intrattenuti da Levinas sia con Husserl che con Heidegger), sia la dimensione tipicamente ebraica che si è espressa in un pensiero «altro», lontano dagli approdi nichilistici della tradizione dell’Occidente.

In secondo luogo, per Levinas la tradizione ebraica veicola contenuti squisitamente umani ed universali, tali da non rintracciare contraddizione tra i due mondi. Infine, nella speculazione di Levinas viene rifiutata la riflessione sul divino e sul sacro come luoghi indipendenti e fondanti la realtà: piuttosto è il volto umano e quella dimensione propriamente detta «etica» che aprono alla dimensione del divino, nel senso che il volto dell’altro, in particolare dell’altro sofferente ed emarginato, è «traccia» di Dio.

Il libro, quindi, ripercorre la teoresi di Levinas, presentata come «evasione» dalle categorie proprie della tradizione filosofica occidentale (una su tutte, forse LA categoria della filosofia occidentale: l’essere) verso un’alterità, anch’essa facente parte della tradizione occidentale minore, rappresentata dalle categorie dell’ebraismo. E questo proprio quando il pensiero occidentale è ormai arrivato alla crisi, ispirata da Nietzsche e poi portata a compimento da Heidegger, dell’ontologia metafisica che ne aveva permeato la nascita e gli sviluppi.

Questa situazione è riassunta nella nozione dell’«il y a»: l’essere non è più il luogo di un’ontologia certa, ferma, senza incrinature, base per un soggetto totipotente, dalle idee chiare e distinte; al contrario, l’essere è semplice presenza opaca, neutra, senza nessuna di quelle connotazioni che tradizionalmente gli sono riconosciute: di fronte a questa neutralità (che è anche mancanza di senso) si innesta l’esigenza di un’evasione verso un pensiero del Totalmente Altro e del volto d’Altri, perpetuando un ribaltamento dei luoghi comuni della filosofia occidentale in base al principio di alterità (contro il principio di identità). Per chi volesse approfondire la figura di questo pensatore eterodosso, c’è una ricca bibliografia, arricchita anche dal libro di Luigi Longo, “Da Atene a Gerusalemme”.