Michele Gambino, Andreotti

16-05-2013

Andreotti, un'antibiografia, di Filippo La Porta

Al di là di ogni demonizzazione c’è soprattutto una colpa morale che gli va imputata e riguarda la sua celebre frase: “A pensar male degli altri si fa peccato ma ci si indovina"
Siamo sicuri che la Storia tratterà Andreotti “con più rispetto”? Stefano Menichini, riecheggiando Napolitano, ci invita a non assumere Andreotti come “uomo a una dimensione” (diabolica), tanto più che proprio lui “ha incarnato la duplicità e anzi la molteplicità dell’azione politica”. Ora, ogni essere umano è impastato di bene e di male e ha una forte inclinazione a peccare (come sapevano sant’Agostino e Andreotti), ma questo non mette tutti sullo stesso piano. Ci sono nella Storia personaggi che ammiriamo e indichiamo come esempi, e altri no.
Se è vero che ciascuno ha le sue ragioni questo non dovrebbe mai impedirci di giudicare. Né ritengo che chiunque abbia esercitato il potere o sia diventato un leader debba partecipare, per questa sola ragione, di un qualche “grandezza” regalatagli dalla Storia.
Credo ad esempio che si possa osservare, serenamente, che se Gandhi contribuì a “migliorare l’aria”(come si conclude il saggio, peraltro severo, che Orwell gli dedicò), certamente Andreotti ha fatto di tutto per peggiorare l’aria. Può essere utile in tal senso la lettura di Andreotti il papa nero. Antibiografia del divo Giulio di Michele Gambino (Manni), esempio di buon giornalismo civile, al tempo stesso esplicitamente schierato e però rigoroso nella ricerca e nel vaglio dei documenti.
Gambino ha seguito meticolosamente la indecifrabile biografia (mai unidimensionale, anzi per definizione “molteplice”) di Andreotti, nella quale si riflette la – spesso indecifrabile – cronaca del Belpaese: collusioni tra mafia e politica e realistico riconoscimento della mafia come interlocutore con cui trattare(quando la vita di Mattarella è in pericolo, Andreotti, benché presidente del Consiglio, per salvarlo preferisce rivolgersi al capo dei capi Stefano Bontate), Gelli e Vaticano, anticomunismo e apertura tattica al PCI, e ancora cinismo e beneficenza, immoralità e saggezza machiavellica…
Le prove “decisive” a carico non ci sono quasi mai, però in un paese normale, osserva l’autore, un personaggio implicato in tanti processi e tante vicende oscure non sarebbe senatore a vita, celebrato a livello istituzionale, amato per le sue presunte arguzie e per il suo (per me tetro) umorismo.
Concludo con una considerazione personale su Andreotti. Al di là di ogni demonizzazione c’è soprattutto una colpa morale – gravissima – che secondo me gli va imputata. E riguarda la sua celebre frase: “A pensar male degli altri si fa peccato ma ci si indovina”, che per una singolare nemesi gli si è ritorta spietatamente contro. Un motto che può funzionare, e solo a volte, in politica (dove si gioca una continua partita a scacchi e occorre un po’ di malizia). Ma certo non si applica, come invece voleva Andreotti, all’esistenza, dove preparerebbe per tutti un mondo inospitale, fondato sul sospetto aggressivo, e dove ci renderebbe completamente ciechi verso innumerevoli aspetti del comportamento umano. A pensar male degli altri si diventa cattivi e più stupidi.