Paola Baratto, Tra nevi ingenue

16-10-2016

La luce spontanea dell'interiorità, di Francesco Mannoni

C’è Vittoria che arriva a Modica sulle tracce di Gesualdo Bufalino. Vuole visitare il “paese in forma di melagrana spaccata“ descritto dall’amato scrittore siciliano che ha colpito la sua fantasia; c’è Louis che frequenta un bistrot cercando di sfuggire alla solitudine della vedovanza, rincuorato dall’ambiente che invece alla moglie era sembrato “sciatto e triste“; c’è Gustavo che s’è inventato un rifugio segreto e ne parla agli amici come di un piccolo eden immergendosi lentamente in una fantasia letteraria alla quale dà i contorni della realtà: esseri umani nel transito esistenziale che si appellano a cose minime per trovare consistenze affettive. Quasi una ricerca simbiotica che nella sua semplice emotività ha la forza di un’alba di luci soffuse “Tra nevi ingenue“ (Manni, 48 pagine, 12 euro).
Titolo suggestivo per i 12 brevi racconti (intercalati da 5 splendide poesie che sono altrettanti guazzi di luce spontanea) colmi d’una intensa “retrospettiva“ emozionale che coinvolge ognuno di noi in una sorta di prova di emersione dalle labilità che viviamo in forma di certezze. Paola Baratto, già con i personaggi dei suoi precedenti romanzi e racconti aveva dato prova di saper penetrare oscurità profonde, labirintiche e tutte le parole che in questi nuovi testi hanno liricità sinfonica e una facilità espressiva illuminante diventano immagine; così quello che racconta si materializza ai nostri occhi: le persone i luoghi, le ragioni, “ fino a quando l’istante perfetto/ arriva/rende ebbri/e come la nona onda si dissolve “.
La cosa più importante di questi racconti, è che la Baratto ha saputo cogliere l’interiorità che illude o devasta ognuno di noi. Con voce pacata, mai alterata dall’urgenza del dire, ci porta a specchiarci nelle sue parole, a ritrovare l’indole dispersa, sentimenti incartati, speranze appese e dimenticate in armadi invasi dalle tarme della dissoluzione, luoghi insoliti, portici, bistrot, brughiere in cui la nostalgia o l’abbandono diventano richiamo. Ma c’è anche una sottile presunzione in questi funamboli del viaggio nel disincanto del ricordo, tra lievi ossessioni e mistiche insorgenze. I personaggi della Baratto sono alla ricerca di qualcosa che sfugge a tutti. Forse non sanno bene nemmeno loro cosa sia: la serenità confusa che allieta i cuori o quella voglia di vita che dilapida i giorni come moneta scaduta senza mai occuparsi della validità del tempo? Tutto ciò può sconcertare, ma mi sembra la vera essenza di questo poema in prosa che la Baratto ha dedicato alla ricerca che anima ogni essere umano. Ricerca che è sinonimo di speranza di mondi nuovi, facce diverse, amori impossibili: tutte variazioni alla mediocrità stressante del lavoro e delle convenienze, calci alle regole che ci ingabbiano, alle motivazioni che imbrigliano i nostri slanci. Il messaggio è chiaro: non dobbiamo cedere alla nebbia insidiosa dell’indifferenza o della monotonia venefica che incupisce la vita. Dobbiamo essere sempre cellule attive, saltellanti, effervescenze briose del mattino. La ricerca è ciò che ci fortifica e qualunque sia la meta, non dobbiamo arrestarci alle soglie delle difficoltà. Anche quando un “Insetto invisibile“ ci punge, o un “Paesaggio senza figure“ ci sgomenta, non disarmiamo: solo rischiando l’impossibile, anche “tra nevi ingenue“, possiamo sfiorare l’eroismo e acciuffare la felicità.