Roberto Piumini

07-04-2006

Il cantastorie che ha scritto 400 libri. Ma che se ne va ancora a scuola, di Antonella Barina


Matera. L’aula è enorme e stracolma di bambini delle elementari. Un mare mosso di grembiuli blu che applaudono, gesticolano, spumeggiano, si spintonano. Cantano tutti insieme: «Ahi, ahi, ahi, l’oca cuoca, che gioco gioca!» Davanti a loro un menestrello suona la chitarra, trascinando quella mareggiata di voci. Mentre il cantastorie, un omone con la barba e la voce profonda, mima i gesti di quell’oca vestita da cuoca che prima fa il brodo poi si tuffa nel pentolone. E giù, dozzine di grembiuli blu si tuffano con lui e riaffiorano ridendo.
Roberto Piumini, l’inesauribile creatore di fiabe, filastrocche, poesie, racconti, testi teatrali, televisivi, radiofonici, soggetti per film e cartoni animati - ha pubblicato più di quattrocento libri per bambini e adulti e da sempre gira l’Italia con spettacoli tratti dai suoi lavori - è oggi nella Scuola Guglielmo Marconi di Matera. Con lui è il suo alter-ego musicale, Giovanni Caviezel, che scrive le musiche per i suoi versi. I bambini sono affascinati. Le maestre pure. E al centro della scena Piumini sembra divertirsi tanto quanto loro. Pensare che solo ieri, durante lo spettacolo per adulti nella Biblioteca provinciale di Matera, lui era così diverso. Certo, l’organizzazione era approssimativa, prima mancava il microfono, poi l’asta per sostenerlo, poi il microfono si è rotto... ma lui non faceva nulla per nascondere la sua irritazione con i responsabili che, mortificati, correvano a comprare ciò che mancava, a spettacolo iniziato. Esistono due Piumini? Il grande affabulatore, che una volta sul palco calamita adulti e bambini con quel fiume di immagini poetiche e parole magiche, e il personaggio «insofferente, pessimo mediatore» (parole sue), che non intende affatto commuoversi di fronte all’inesperienza di chi non è del mestiere, e che anzi, «se qualcosa non va, sa essere spietato» (parole di una delle maestre che hanno organizzato la sua venuta a Matera)?
Chissà, forse esistono due Piumini, ma del secondo nulla traspare nei suoi libri, che continuano a uscire uno dopo l’altro da vari editori. Oggi Manni porta in libreria Le opere infinite, due divertenti racconti per adulti ambientati nel mondo dell’arte: la beffa rischiosa di un artista ai danni di un collezionista, nella Parigi ottocentesca, e una vicenda che ha per protagonista Piero della Francesca e un suo affresco mai completato per un cattivo presagio. E Manni esce anche con la riedizione (testi rivisti e nuove illustrazioni) del Novecento dei Bambini, una serie di racconti in cui il secolo appena trascorso è narrato da dieci ragazzini, uno per decennio, che spiegano come vivevano i bisnonni, nonni e genitori. Mentre le Edizioni EL pubblicheranno a maggio una reinterpretazione di Piumini della fiaba di Pollicino.
«Spesso mi chiedono cosa cambia, per me quando scrivo per bambini o per adulti», dice Piumini. «La verità è che io scrivo solo perchè non posso farne a meno, perchè così vivo meglio, mi diverto, gioco. Molti testi risultano poi più adatti per bambini: per via dei contenuti, certo, ma anche perchè hanno un linguaggio più giocoso, più concreto. Una filastrocca è diversa da una poesia per adulti, dove ci si può lasciare andare a riferimenti culturali sottintesi: si rifà piuttosto a esperienze infantili, legate al corpo, all’avventura... il che non vuole dire superficialità, tirar via. Anzi. Né vuol dire porsi scopi educativi, come voleva la letteratura per l’infanzia ottocentesca. A volte qualche bambino mi chiede: “Qual è il messaggio della tua storia?” Rispondo: “Non c’è un messaggio, c’è un massaggio”. Quello che la lettura fa alla testa del lettore. Leggendo si ricorda la propria vita. Immaginando da soli ciò che le parole suggeriscono, si ripercorrono pensieri e sensazioni passate. Ciò che non accade con la tv e il fumetto che, fornendo già un’immagine pronta, impigriscono il cervello».
Quello di Piumini è un mondo di parole colorate, gioiose, duttili. E anche quando è in scena lo scrittore, più che recitare ti avvolge con la voce. «Vengo da una famiglia d’origine contadina, dove c’erano pochi libri, ma molti linguaggi: il dialetto bolognese dei miei genitori, quello camuno della Valcamonica dove vivevamo, e poi l’italiano della scuola, il latino della messa e della parrocchia. Questa varietà linguistica ha agito sulla mia natura solitaria e schiva: mi divertivo soprattutto a tradurre le parole. E passavo ore ad ascoltare la radio. O i racconti della nonna contadina. Ricordo ancora la favola di Gigino, pastore altro tre centimetri, che sorvegliava le mucche nascosto sotto una foglia. Quando arrivavano i briganti  e gridavano, “che bei buoi!” lui rispondeva, “sono belli, ma non sono tuoi”. Quel nucleo di rima, di linguaggio forte, ritmico, deve aver contribuito a farmi diventare un sonettista».
Adolescente, Piumini scriveva tonnellate di poesie: «Conservo ancora un centinaio di quaderni con questi primi esperimenti con le parole». Poi il Sessantotto, la laurea in Pedagogia, l’insegnamento a scuola. Il teatro: «Prima sperimentale, inutile dirlo, poi sempre meno. Per tre anni ho fatto l’attore di giro, solo per rendermi conto che il palcoscenico non era quell’avventura magica che credevo, ma fatica, guerra tra poveri, lavoro di notte, alberghi scomodi. Ho smesso. Continuando a sbarcare il lunario con spettacoli d’animazione. Per un po’ ho fatto anche il burattinaio con un amico di nome Gatti: solo per poter creare la coppia “Gatti e Piumini”. Ma quando abbiamo incominciato a essere richiesti, ci siamo guardati negli occhi: “Troppo faticoso”».
E Piumini riprende la scrittura. Primo libro, prima uscita in libreria: Il giovane che entrava nel palazzo. Era il ’78. Il resto è storia nota, compresa l’ideazione televisiva dell’Albero Azzurro, programma cult per i bambini, e quelle radiofoniche di Radicchio e Il mattino di zucchero. I suoi racconti più celebri, come Lo stralisco e Mattia e il nonno, sono tradotti in una ventina di lingue.
Le è mai venuta voglia di interrompere questo getto continuo di libri e spettacoli? «A volte si. Mi innervosisce essere spesso considerato solo uno scrittore per bambini. Come mi irrito quando le librerie piazzano i miei testi per adulti negli scaffali per l’infanzia. Una volta ho anche smesso di fare spettacoli per un anno. Ma mi sono annoiato così tanto che mi si è imbiancata la barba. Allora ho ripreso. E mi diverto sempre di più, soprattutto con i bambini. Con gli adulti un po’ meno. E le mie insofferenze si vedono».