Sergio D'Amaro, Terra dei passati destini

12-02-2006

Figure del Gargano "terra di passati destini", di Cristianziano Serricchio


Foggia fino a qualche anno fa, si rese, fra l’altro, meritevole della pubblicazione di una decina di supplementi letterari del progetto Books Brothers. Nel 2000 uscì di Sergio D’Amaro Gargan River che accoglieva undici «voci da un destino sommerso» con una esplicativa e intensa introduzione di Raffaele Vescera, il quale annotava: «I morti parlanti di Sergio D’Amaro sono contadini, pastori, braccianti, artigiani, emigranti, casalinghe di quella miniera di memoria della civiltà del passato che è il Gargano, dove l’autore è nato, rimasto indelebilmente segnato dalle icone del mondo agricolo-pastorale… rapidamente dissoltosi con il boom economico».
Terra dei passati destini, edito recentemente da Manni con una lucida e bella prefazione di Martino Marazzi, amplifica il mondo delle «voci» presenti in Gargan River aggiungendo altri medaglioni, brevi autobiografie dettate da estinti, che costituiscono nell’immaginario creativo dell’autore un significativo campionario di quel mondo agricolo-pastorale rimasto ben fermo nella sua memoria storico-letteraria.
D’Amaro ha dato significativi esempi della sua creatività poetica, da Il ponte di Heidelberg a La scala di Beaufort a Beatles, i quali, unitamente ai testi di narrativa e di saggistica, notevoli quelli su Carlo Levi, attraversano un intero modo di sentire e intendere l’espressività, nelle varie forme suggerite da una sensibilità aperta alle esperienze della realtà del mondo contemporaneo e alla ricchezza delle molteplici sollecitazioni della scrittura. In questa silloge di racconti, come egli scrive in un testo poetico, «il nastro dei ricordi / è pronto a sbobinarsi con voce pacata e ad aprirsi lentamente su ogni accenno / di nascita o di ritrovato senso o di caste malinconie». Ricordi, voce pacata, caste malinconie.
D’Amaro sa di svolgere un’operazione difficile di recupero di un mondo contadino e paesano sommerso dallo stravolgimento della modernità e di volerlo saldare, attraverso le forti e spesso drammatiche congiunture del tempo, tra guerre, dittature, disoccupazione e rivoluzionarie tecnologie, alla memoria e alla consapevolezza delle nuove generazioni spesso fuorviate e dimentiche del passato e delle radici. Protagonista è la terra, arida del Tavoliere e petrosa del Gargano, con le fatiche, le miserie, le frustrazioni, di uomini e donne, contadini, artigiani, pastori, carbonai, in lotta con le difficoltà, le asperità del «destino», le privazioni del vivere nel continuo aggirarsi tra speranze, rabbia, conflitti, delusioni e irrimediabili sconfitte.
È una variegata e sofferente galleria di personaggi che si fa avanti, attraverso le singole «confessioni», in queste pagine che hanno l’evidenza teatrale di una sacra rappresentazione. Personaggi, come, ad esempio, Nespolone, Agofino, Padre Girolamo, Boccadolce, Antonietta, narrano le loro storie con la pacatezza di chi accetta il proprio «destino» segnato sin dalla nascita, per cui il «nastro dei ricordi» di ciascuno si svolge con un raggiunto, meditato e malinconico distacco dalle vicende condivise.
Questo suggestivo affresco di piccole biografie, coralità di «epigrafi» in un cimitero di memorie, ci restituisce in un linguaggio estremamente limpido il commiato tenero e dignitoso dei protagonisti dalla propria identità e dalla più vera delle realtà vissute.