Silvana Palazzo, Poesie di un'estate

03-04-2015

L'estate e al poesia, di Vincenzo Napolillo

Nel mutare delle stagioni non si capisce perché diversi critici letterari si ostinino ancora a credere che la poesia sia morta o in agonia. Tale pensiero aveva forse una validità all’epoca della seconda guerra mondiale e dei lager, quando cioè le nazioni si erano imbestialite e avevano perduto lo slancio d’amore fraterno e i valori di umanità e civiltà. In quel frangente, le cetre erano appese ai rami dei salici per le tragiche esperienze di lotte, torture, angosce e solitudine, che avevano raggelato le parole sulle labbra del poeta.

Oggi si riprende a cantare, a squarciagola, allargando la dimensione biografica ai motivi sociali, nell’incontro con il dolore e la tristezza di tutti gli uomini; sicché la poesia non è morta e il poeta non ha smesso di vegliare sui libri («Chi legge cerca sempre qualcosa») e di esprimere in versi sentimenti profondi e vivi; anzi egli non ha cessato di essere continuamente immerso nell’esperienza del sentimento e nello stato d’animo «in cui la ragione lascia spazio alla passione».

Un esempio su tutti: il bel libro Poesie di un’estate (Manni, 2015) di Silvana Palazzo riconquista spazi di liricità con temi, motivi, ragioni, ironia, intenzioni, che parlano d’incanto e di moti dell’anima. È un modo particolare di fare poesia e vedere la vita senza illusione, anzi con evidenza e grazia verissima.

I suoi versi si presentano come «lampi della mente» e come vivo bisogno di tranquillità: «Tutto è nero d’intorno/ ma so che presto/ una luce alla vita mi aprirà».

Nell’esistenza umana, che ha alti e bassi, momenti lieti e tristi, fatterelli e figure, una domanda è ineludibile: «Cosa vuoi dalla vita: «un porto sicuro/ o una ricerca infinita?».

Silvana Palazzo si muove con più coerenza e speranza tra l’interno familiare e il taglio poetico dell’intellettuale che tende a non darsi pace e a superare la paura della morte: «Non c’è lavoro più stancante/ del vivere».

Per lei l’estate ha l’aspetto di un personaggio, che libera l’animo dalle note di malinconia e coniuga il lirismo sintetico con la limpida espressione e discorsività»: «L’estate è poesia./ Libera come/ la nudità/ libera come/ la facoltà di/ navigare/ tra gocce del mare./ L’estate è poesia/ e la poesia è l’estate/ senza nubi nel cielo/ arroccate».

Il salto qualitativo, dolce e rasserenante è dato dalla nascita di Silvia, dal nome leopardiano, simbolo dell’innocenza perduta «ed in lei ritrovata»; e dalla fusione di postulati analitici ed esistenziali saturi di una sensualità sana e di verità e storie d’oggi.

La poesia è, in fondo, per Silvana Palazzo, autoanalisi e preghiera.

La raccolta si pone nella storia della personalità di Palazzo, che porta alla luce, con stile scarno e serrato, zone inconsce della sua mente ed evoca sensazioni ed esperienze emozionali dilatate, per mezzo della poesia, a condizione del mondo.

La scrittura lirica si colora e riaccende quando s’incontra con il sentimento ed evidenzia il motivo metafisico: «Qualcuno ha detto/ che non crede/ in Dio ma/ nell’essere umano/ annullando/ ogni senso ch’è in noi/ del divino».

Silvana Palazzo è in vena di confessione e alla ricerca di una salvezza. È a questo desiderio, a quest’anelito, che la sua figura di poetessa si consegna e attinge forza creativa:

L’estate finisce con il ritorno dal mare, con le piogge settembrine e la città che si rianima.

Non ha tuttavia termine la stagione della poesia, che arriva «nell’abisso del cuore» e scopre la condizione umana in una continua avventura e ricerca della felicità, che, purtroppo, «la si riconosce/ sempre il giorno dopo».

Una raccolta attualissima e avvincente nel contenuto, che attraverso le intricate vie della vita segnala la bellezza dell’incontro con la natura e la mescolanza di realtà quotidiana e di gioco rappresentativo, in versi e pagine di meditata e appassionante poesia.