Ugo Ronfani, Memoriale delle caverne

27-05-2006

L'utopia di Ugo Ronfani in un romanzo, di Giuseppe Bonura

Ugo Ronfani o dell’utopia. Se dovessimo scrivere un saggio ragionato su Ronfani, cominceremmo così. A dire la verità, per nostra colpa, ignoriamo se Ronfani sia stato sempre un utopista. Sappiamo però che è stato un finissimo critico teatrale (e lo è tuttora) inviato a Parigi dal suo giornale negli anni d’oro. E sappiamo che Parigi è la metropoli dell’utopia, nel senso che i suoi intellettuali elaborano un giorno sì e un altro giorno sì visioni del mondo in cui l’umanità appare finalmente pacificata. Oggi un po’ meno di ieri, a essere precisi. Il cinismo ha colpito anche loro. La Francia non ha più scrittori di grande talento, non ha più pensatori arditi, non ha più drammaturghi avanguardisti. In compenso ha un flusso turistico ridicolo di visitatori che vanno al Louvre per vedere se quel furbetto planetario di Dan Brown abbia detto qualcosa di vero. E quando si accorgono che la Gioconda continua a non fare una piega e a conservare i suoi segreti artistici, si arrabbiano come belve e voglio indietro il biglietto. Parigi non val più una messa. Neanche una messa in piega.
Ronfani certo ricorda con emozione i migliori anni della sua vita. Ma anziché ripiegarsi su se stesso, seguita a guardarsi intorno e a indignarsi. E a scrivere libelli, romanzi, testi teatrali, articoli e poesie. Proprio in questi giorni nelle librerie sono entrate due sue nuove opere. La prima è un volume di poesie intitolato Canzoniere per la sposa perduta (Aragno). Non a noi compete di recensire questo libro. Ci preme sottolineare che la presentazione è del famoso psichiatra Eugenio Borgna e che i versi sono di una lancinante intensità.
L’altra opera è un romanzo, Memoriale delle caverne, di cui vogliamo brevemente parlare. L’idea è splendida. Due cuginetti, Pietro e Neda, sfuggono per miracolo a un rastrellamento nazifascista, al confine con la Svizzera. Siamo nel 1944. I due piccoli si rifugiano in una caverna. Ignari del mondo esterno, crescono come selvaggi, nutrendosi di quello che la natura concede. Diventano adulti solo nel corpo. Per il resto regrediscono fino a somigliare agli antichissimi uomini delle caverne. Un giorno ritornano alla vita cosiddetta normale, ma ovviamente non ne capiscono nulla. E neanche coloro che gli stanno attorno capiscono loro. Passano molti anni, nella caverna viene rinvenuto un “memoriale” e qui apprendiamo che nel frattempo è scoppiata la terza guerra mondiale. Siamo, come si vede, nella letteratura apocalittica, ma anche in quella che sogna la pace perpetua. Forse Ronfani si è rifatto a una storia vera del Settecento, quella del selvaggio Itard. Ma il romanzo è attuale, anzi attualissimo, e ci fa meditare.