Nei viottoli sterrati della periferia romana si consuma l’odio del protagonista verso una classe sociale.
È un sogno. Forse. Un sogno come iconografia dei luoghi più comuni sull’anima nuda della borghesia.
Nel disprezzo, però, ricostruisce una coscienza, una nuova identificazione, per riscoprire la verità ormai celata. Ma ad ogni passo... lui ci inciampa.
Marco Bocciarelli è nato nel 1954. Vive a Milano. Ha già scritto libri creativi e, con lo pseudonimo Item Maestri, anche testi per il teatro. Ha diretto spettacoli per la compagnia Macchine Teatrali.
INCIPIT
Cammina, Pino Gattamorta. Cammina. Cammina lentamente lungo un viottolo sterrato della periferia romana. In mezzo ai palazzoni e ai ruderi d’acquedotti antichi. Mentre il sole cala prendendo alle spalle l’aereoporto di Ciampino. In lontananza si vedono riflettere i castelli. In primo piano c’è Marino. E mentre cammina pensa, Pino Gattamorta. Pensa alla sua vita. A testa bassa procede lungo le strade dei pensieri. E ad ogni sasso che incontra, lui c’inciampa. Chi lo vede da lontano si domanda: chi sarà costui? Un Carneade? Uno zingaro, un povero disgraziato? Ma no! È solo un uomo provato. Uno qualunque. Un perfetto sconosciuto. Non è giovane ma neanche vecchio. All’apparenza non è ricco ma dire che è un poveraccio sarebbe troppo. Non è stupido ma di certo non è un genio. Insomma, si piazza nella media. Non è nemmeno uno brillante che quando lo vedi dici: guarda quello, quant’è intelligente. Alla fin fine è uno come ce ne sono tanti. Vive. Forse sopravvive. Chi lo sa? Ma quanti al mondo d’oggi possono vantare una vita piena? Quanti hanno il privilegio di non vivere da maiali? Pino Gattamorta, però, ha un difetto: pensa. E questo è grave. E, cosa strana, talvolta nemmeno si vergogna. E mentre pensa, parla. E sì, perché Pino, come nel sonno, parla quando pensa, quando sogna. Parla non per essere ascoltato. No. Di quello che dicono gli altri lui se ne frega. Parla solamente per non perdere il filo del discorso. Lui deve fare un’operazione ardita. Deve capire il senso della propria vita. E camminando nella periferia romana, tra palazzoni e resti d’acquedotti antichi, s’imbatte nell’iconografia dei luoghi più comuni sulla borghesia. E allora pensa: togli l’immagine. Togli l’apparenza. Togli anche la buona educazione. Togli il pregiudizio dell’ideologia. Togli ogni convenzione. E che rimane? L’anima nuda della borghesia. Allora vedi che quei luoghi son tutt’altro che comuni ma sono la verità svestita. Come lui l’ha vista e conosciuta. Magari un po’ gonfiata… ma non cambia la sostanza. Sbagliate! Non è datata ideologia. Ripete Pino Gattamorta. La fantasia è ottima pedagogia! E la sua vita cosa c’entra? C’entra, c’entra. Lui è immerso in questo mondo. Non è chiuso in una teca di cristallo. Lui vive. Quindi è in relazione. Allora la vita, la morte, la speranza, la disillusione, la discriminazione, la verità, la guerra, la disperazione, sono le vie del suo lento camminare. Fatte di storie diverse. Ma che a lui possono insegnare. Cammina, Pino Gattamorta. Cammina. Cammina lentamente lungo un viottolo sterrato della periferia romana. In mezzo ai palazzoni e ai ruderi d’acquedotti antichi. Mentre il sole cala sorprendendo alle spalle l’aereoporto di Ciampino. In lontananza si vedono riflettere i castelli. In primo piano c’è Marino. E mentre cammina pensa, Pino Gattamorta. Pensa alla sua vita. A testa bassa procede lungo le strade dei pensieri. E ad ogni sasso che incontra, lui c’inciampa. E mentre pensa, sogna.