Gialli d’Oriente

01-11-2012

La conoscenza dell’animo umano, di Barbara Caputo

Non ci si faccia scoraggiare dalla forma di testo universitario. Gialli d’Oriente. Racconti polizieschi dal medioevo arabo (traduzione di Arianna Tondi) consente di accostarsi a una forma di narrazione, quella islamica classica,  che non conosciamo, e che può dirci tanto non solo su una storia e una cultura ancora a noi quasi ignoti, ma anche ampliare la nostra conoscenza delle forme di narrazione. E, oltre a questo, aiutarci a comprendere le svariate forme del ragionamento indiziario (i semiologi ci andrebbero a nozze, ipotizziamo). Le note, inoltre, aiutano a orientarsi in un mondo linguistico molto sottile e razionale, che è quello dell’arabo classico, e che ci può aiutare ad ampliare i confini del nostro mondo, wittgensteiniamente parlando, secondo le direzioni indicate dalla critica letteraria postcoloniale.
Si tratta di akhbar, brevi exempla che indicano l’adab, le norme sociali di corretto comportamento, introducendoci al tempo stesso a un mondo affascinante di cui possiamo cogliere costumi e psicologia.
Sono racconti con una prospettiva “dall’alto”, che vedono le cose cioè dal lato del potere. La narrazione islamica presenta un inestricabile intreccio tra scritto e orale, sul modello dell’intreccio tra tradizione sacra scritta (Corano) e orale (hadith), legittimata da una catena di trasmissioni, la sanad, che troviamo anche in questi racconti.
L’intelligenza investigativa dei giudici si basa sulla conoscenza dell’animo umano, dei moti dell’animo, della firasa o fisiognomica, concezione arabo-persiana che reca commistioni ebraiche e addirittura greche. Protagonisti alcuni personaggi storici reali come lo spietato califfo al-Mu’atadid, e gli emiri ‘Adud al-Dawla e Jalal al-Dawla.
La concezione del potere è quella di un panopticon nel quale chi comanda deve sapere tutto e si serve di spie ovunque, quelle mukhabarat che fino a oggi costituiscono una caratteristica peculiare dei governi autoritari islamici. Gli investigatori utilizzano la loro finezza psicologica: leggono i movimenti del corpo, giocano con le reazioni degli indagati, escogitano trabocchetti che li  ingannano spingendoli a tradirsi per imprudenza o al contrario eccessiva prudenza. Sanno che un ladro o una spia possiede sangue freddo, oppure che un uomo che ha qualcosa da nascondere può tremare o accelerare i battiti del cuore. Dei briganti vengono sterminati dalla golosità, mangiando un carico di bei dolci avvelenati, un ladro-amante è tradito dalla vanità di profumarsi (abitudine cara al Profeta). Un investigatore conosce il tenore di vita delle persone, e sa riconoscere, come ai nostri giorni, quando questo eccede la classe sociale di appartenenza. I comportamenti incoerenti sono sempre oggetto di sospetto o indagine. Anche il sogno, che possiede carattere di visione rivelatrice, è usato come strumento investigativo. I personaggi, quasi tutti uomini, si muovono in un mondo di viaggi dalla lunga durata, che siano per commercio o per pellegrinaggio, e nei quali i propri beni vengono affidati a fiduciari spesso disonesti. L’abito non fa il monaco, come letteralmente mostra uno dei racconti, e non si può mai riporre totale fiducia in nessuno. Le donne vi ricoprono il ruolo di infedeli ingannatrici o inermi vittime.
E’ un mondo vasto e insicuro, fatto di un intreccio tra stanzialità e nomadismo che è peculiare del mondo islamico antico, in cui il pericolo è sempre prossimo come in ogni viaggio, e che richiede un potere deciso e spietato che garantisca l’ordine. Ma nel quale chi è fine e intelligente può volgere il destino a suo vantaggio e diventar ricco rubando a chi a sua volta ha rubato, testimonianza storica di una morale che è molto più elastica di quanto non saremmo portati a credere.