Giuseppe Antonelli, Lingua ipermedia

23-09-2006

Trasgressivi? No, solo di moda, di Andrea Cortellessa

…Soccorre ottimamente alla bisogna il saggio-crossover del giovane linguista Giuseppe Antonelli: il quale da anni associa ai suoi interessi accademici un’appassionata attività di critico militante (da “Avvenimenti” a “L’Indice”), dedicata proprio alla narrativa delle ultime generazioni. «Crossover», Lingua ipermedia, perché imperniato su un’appuntita, solo in apparenza asettica, analisi linguistica; la quale però dissimula appena ben precise scelte «militanti». Unica (non lieve) pecca del libro, l’essere uscito con tre o quattro anni di ritardo sulla stesura delle sue parti; per cui i «casi» delle ultime stagioni –da Mazzantini, a Mazzucco, a Piperno– paiono tornare a proporre una «tendenza al romanzo benfatto e a una lingua sobriamente tradizionale» e, insomma, «un ritorno all’ordine ormai inevitabile». Presupposto di Antonelli è dunque che dalla metà degli Anni Novanta al passaggio di secolo, grosso modo, si sia assistito a un’oscillazione dell’eterno pendolo letterario che, felicemente, andava in direzione opposta: cioè dello straniamento più o meno umoristico (Ballestra, Nove, Nori), dell’esibizione persino manieristica dell’artificio (Mari, Ottonieri, appunto Scarpa e, più estremista di tutti, il giovanissimo Flavio Santi), insomma del «diffuso innaturalismo della lingua e dello stile». In ogni caso «la narrativa degli Anni Novanta si lascia finalmente alle spalle il mito della spontaneità».
Passaggio-chiave è l’analisi di un elemento che accomuna molte narrative tardonovecentesche: la mimesi dell’oralità, in genere tout court considerata, appunto, un connotato di spontaneismo. Qui il linguista rivela di non essere solo uno specialista: nel sottolineare come, specie in regime di postmoderno double-coding, ogni «fatto linguistico» vada messo «in relazione con il co-testo e con il contesto». C’è parlato e parlato, insomma; per esempio la lezione di Tondelli; spesso vantata a sproposito, è proprio quella di un raffinato travestimento, non certo di una meccanica registrazione, dell’oralità «giovanile». D’altro canto ha buon gioco, Antonelli, a mettere a frutto le più sofisticate ricerche dei colleghi di corporazione (massime Enrico Testa) sulla natura tutta artificiale della riproduzione dell’oralità. Due casi davvero tipici sono quelli di scrittori per altri versi agli antipodi, Nove e Nori, per entrambi i quali però –a dispetto delle apparenze– «lo stile è tutto». Perché (come avevano insegnato negli Anni Sessanta e Settanta i Malerba, i Volponi e i Celati, ma anche il Sanguineti di Capriccio italiano) è tutta risolta nell’artificio stilistico la maschera della voce di chi dice «io». Ecco perché la lingua di questi scrittori apparentemente «semplici» è ipermedia: è più vera del vero, e proprio per questo all’altezza dei tempi.